venerdì 29 aprile 2016

Crolla l'edificio: a chi spetta il risarcimento del danno?


Crolla l'edificio: a chi spetta il

 risarcimento del danno?





Le Sezioni Unite della Cassazione hanno posto la parola fine ad un contrasto giurisprudenziale sorto nel corso degli anni stabilendo che il diritto al risarcimento per il danno ad un immobile spetta al proprietario del bene nel momento in cui si è verificato l'evento dannoso, essendo tale diritto autonomo rispetto al diritto di proprietà
Il fatto. La vicenda sulla quale è intervenuta la Cassazione a sezioni unite trae origine da una sentenza di primo grado che ha condannato l'Anas al risarcimento dei danni derivanti dal crollo dell'immobile causato dalle escavazioni in un colle.
La sentenza di primo grado viene impugnata dall'Anas e la Corte d'appello ha riformato la decisione di primo grado rilevando che gli appellati (proprietari) non fossero titolari di diritti reali sull'immobile danneggiato al momento dell'evento dannoso che era stato da loro acquistato solo l'anno successivo.

I proprietari soccombenti non condividendo le conclusioni della Corte d'appello hanno proposto ricorso per Cassazione sottoponendo la seguente questione e cioè se l'alienazione di un bene immobile comporta anche il trasferimento automatico del diritto di agire in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni subiti dall'immobile prima del trasferimento.
La sentenza. La Corte di Cassazione pronunciandosi su tale motivo ha stabilito un importante principio di diritto puntualizzando che l'azione volta ad ottenere il risarcimento dei danni subito da un immobile non può considerarsi alla stregua di un diritto accessorio al diritto di proprietà e pertanto non può essere trasferito con l' atto di vendita.
Questa è la conclusione a cui approda la Cassazione che, discostandosi da un orientamento minoritario secondo il quale il diritto al risarcimento del danno si trasferirebbe con la vendita del bene, ha ribadito che lo stesso si configura come un diritto di credito di natura personale che può essere trasferito solo ricorrendo ad uno specifico atto di cessione ai sensi dell'art. 1260 c.c. (Cass. civ., sez. IV, ord. 12.11.2014 n. 24146; Cass. civ. Sez. II, 03-07-2009, n. 15744).
Fra l'altro puntualizzano i giudici di legittimità questa conclusione si basa su presupposti di natura logico-giuridici dato che il diritto al risarcimento del danno nasce dall'esigenza di ristorare il danneggiato dal pregiudizio subito a fronte dell'azione compiuta da un terzo (danneggiante), in modo da riportarlo nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato se l'evento dannoso non si fosse verificato.
Seguendo tale ragionamento, quindi, non vi è alcun dubbio in merito al fatto che l'unico soggetto al quale deve essere riconosciuto il diritto al risarcimento del danno è colui che ha effettivamente subito il pregiudizio, tale soggetto, tuttavia, ha la possibilità di cedere il diritto soggettivo al risarcimento del danno ricorrendo ad un autonomo atto di cessione del credito.
Pertanto se oltre all'atto che trasferisce la proprietà di un bene immobile, così come accaduto nel caso di specie, non si individua anche un atto di cessione del credito il diritto al risarcimento del danno rimarrà esclusivamente in capo al soggetto che aveva la titolarità del bene nel momento in cui si è verificato l'evento dannoso.
In conclusione le Sezioni Unite hanno definitivamente chiarito che: in caso di trasferimento della proprietà di un immobile il diritto al risarcimento del danno, sopportato del venditore prima del trasferimento dell'immobile, non può essere considerato un diritto accessorio al diritto di proprietà di conseguenza lo stesso può essere trasferito solo ricorrendo ad uno specifico atto di cessione del credito.
 Scarica Corte di cassazione Sezioni unite civili - Sentenza del 16 febbraio 2016, n. 2951


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La proposta irrevocabile di acquisto può considerarsi un contratto di compravendita vero e proprio?


La proposta irrevocabile di acquisto 

può considerarsi un contratto di 

compravendita vero e proprio?




Il Tribunale di Bologna si è pronunciato su una vicenda che vede protagonisti: da un lato un'agenzia immobiliare che rivendica le proprie provvigioni contestando al proponente acquirente la mancata stipula del contratto preliminare, e dall'altro il promittente acquirente che dopo aver sottoscritto la proposta di irrevocabile ha comunicato la sua intenzione di recedere dal contratto a fronte dell'atteggiamento menzognero assunto dall'agenzia immobiliare che aveva sostenuto qualità che l'immobile oggetto di compravendita non aveva.
Il fatto. L'agenzia immobiliare Alfa cita in giudizio con procedimento sommario il promittente acquirente di un immobile assumendo che quest'ultimo, in data 18 maggio 2010, aveva sottoscritto una proposta irrevocabile di acquisto, ma in un secondo momento aveva comunicato all'agenzia la propria intenzione di recedere dal contratto assumendo di essere stato tratto in inganno dall'annuncio dell'agenzia immobiliare secondo il quale l'immobile oggetto di compravendita avrebbe consentito di realizzare un nuovo edificio in base ai criteri della “bioarchitettura”, mentre in realtà il Comune aveva immediatamente smentito tale possibilità.

L'agenzia immobiliare, dal canto suo, ritiene di non aver indotto in errore il convenuto concludendo che non esistevano le condizioni che consentissero a quest'ultimo la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto e di esercitare il diritto di recesso, e pertanto, l'attrice chiedeva una sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. che imponesse al convenuto l'obbligo di concludere il contratto preliminare sottoscritto in data 18.5.2010.
Dal canto suo, invece, il promittente acquirente ha respinto le pretese dell'agenzia immobiliare sostenendo che quest'ultima aveva garantito che nell'immobile oggetto di compravendita sarebbe stato possibile realizzare ben 6 unità abitative per ben 670 mq di costruzione e dopo aver preso atto che l'immobile non presentava le caratteristiche promesse, e che nessun progetto era stato presentato dalla parte venditrice, aveva comunicato il suo diritto di recesso chiedendo il doppio della caparra versata al momento della sottoscrizione della proposta irrevocabile di acquisto.
In virtù del comportamento della controparte, quindi, il promittente acquirente con domanda riconvenzionale ha chiesto la risoluzione del contratto per inadempimento ed in alternativa il recesso chiedendo il doppio della caparra versata al momento della sottoscrizione della proposta. (In tema di recesso illegittimo e di inadempimento dell'altra parte di scarda importanza si segnala il seguente contributo: Preliminare di vendita. Recesso è illegittimo se la controparte ha già versato quasi tutto il prezzo pattuito).
La caparra confirmatoria ed i rimedi previsti dal secondo e terzo comma dell'art. 1385 c.c..L'art. 1385 c.c. disciplina la caparra confirmatoria stabilendo che, nell'ipotesi di versamento al momento della conclusione del contratto di una somma di denaro o di una quantità di cose fungibili a titolo di caparra confirmatoria, nel caso di inadempimento di uno dei contraenti la parte non inadempiente ha la facoltà di scegliere fra due soluzioni.
Infatti il soggetto non inadempiente potrà scegliere: se recedere dal contratto e trattenere la caparra a ricevuta ovvero esigere il doppio di quella versata, non avendo in tal caso bisogno di dimostrare di aver subito un danno effettivo; oppure potrà decidere di agire in giudizio e chiedere risoluzione del contratto ed il risarcimento del danno che, in tale caso, sarà regolato dalle norme generali e questo vuol dire che sarà onere del soggetto non inadempiente dimostrare l' an ed il quantum del danno sopportato.(Cass. civ., S.U., 14.1.2009, n. 553; C. civ., Sez. II, 17.12.2013, n. 28204)
La sentenza del Tribunale di Bologna. Il giudice della seconda sezione civile del Tribunale di Bologna, dopo aver preso atto della documentazione (proposta irrevocabile di acquisto) prodotta da parte attrice ( agenzia immobiliare), ed analizzato nel dettaglio l'accordo intercorso fra le parti, ha osservato che nel caso di specie non è stata sottoscritta solo una semplice proposta di acquisto ma è stato concluso un vero e proprio contratto di compravendita nel momento in cui la proposta irrevocabile dell'acquirente è giunta a conoscenza della parte venditrice.
Tale circostanza ha indotto il giudice a respingere la domanda di parte attrice tesa ad ottenere una pronuncia costitutiva ai sensi dell'art. 2932 c.c. per ottenere il trasferimento dell'immobile oggetto di proposta irrevocabile, poiché è chiaro che fra le parti si è già perfezionato un negozio ad efficacia reale immediatamente traslativo della proprietà. Per questo l'agenzia immobiliare avrebbe dovuto chiedere solo l'accertamento dell'avvenuto trasferimento del diritto di proprietà in capo all'acquirente in forza del contratto di compravendita, ma non di certo un sentenza ex art. 2932 c.c..
Per quanto riguarda, invece, la richiesta di risoluzione del contratto per inadempimento avanzata dal convenuto, fondata sul fatto che l'immobile non corrispondesse alla descrizione dell'immobile contenuta nell'annuncio immobiliare con riferimento alla capacità edificatoria ed alla possibilità di realizzare, dopo aver abbattuto il precedente, un edificio secondo le caratteristiche della bioarchitettura: il Tribunale di Bologna, anche in virtù del contributo offerto da una consulenza tecnica d'ufficio, ha respinto le richieste del convenuto stabilendo che l'immobile oggetto di compravendita poteva essere utilizzato per la destinazione richiesta dall'acquirente seppur per dimensioni ridotte (476 mq) rispetto alle indicazioni fornite dall'annuncio commerciale.
In virtù di tali circostanze la sentenza ha ritenuto contrario al principio di buona fede il rifiuto opposto dal convenuto alla stipula del rogito, mentre ha stabilito che il venditore ha il diritto di trattenere la somma percepita a titolo di caparra.
Per quanto riguarda, invece, la domanda di pagamento della provvigione avanzata da parte dell'agenzia immobiliare il Tribunale di Bologna ha deciso per il rigetto di tale pretesa anche in virtù del comportamento osservato dal mediatore durante lo svolgimento delle trattative contrattuali, che non ha assolto l'obbligo di corretta informazione in base al criterio della media diligenza professionale, dato che non ha controllato le notizie che gli sono stato fornite dal venditore. (Cass. civ. Sez. III, 08-05-2012, n. 6926) (Sull'obbligo del mediatore di verificare le notizie che gli vengono fornite vedasi: Il mediatore non può limitarsi a trasmettere informazioni non verificate)
Niente da fare, quindi, per entrambe le parti poiché l'agenzia immobiliare non può ottenere le sue provvigioni, mentre il promittente acquirente non può chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento né tantomeno può chiedere la restituzione del doppio della caparra esercitando il diritto di recesso.
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 Scarica Tribunale di Bologna Sentenza n. 385 del 12/02/201616


Fonte http://www.condominioweb.com/la-proposta-irrevocabile-di-acquisto.12638#ixzz47EkBppz1
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giovedì 28 aprile 2016

Prestate attenzione alla clausola di inadempimento nel contratto di mutuo



Prestate attenzione alla clausola di

inadempimento nel contratto di mutuo




Il debitore che firmerà la clausola di inadempimento nel contratto di mutuo, in caso di mancato pagamento di 18 rate perderà la casa senza giudice e asta pubblica ma si libererà completamente del debito residuo anche se l'immobile dovesse essere venduto a un prezzo inferiore.
Il contratto. Il mutuo è il principale contratto di prestito, consiste nel trasferimento di una somma di denaro da un soggetto (banca mutuante) ad un altro soggetto (mutuatario), con assunzione da parte del mutuatario dell'obbligo di restituire al mutuante altrettanto denaro. Il contratto di mutuo si perfeziona con la consegna del denaro prestato al mutuatario, che ne diviene il proprietario. Il mutuo di denaro è naturalmente a titolo oneroso. Salvo patto contrario, infatti, chi ha ricevuto in prestito una somma di denaro deve corrispondere gli interessi.
La nuova clausola di inadempimento. Il Consiglio dei Ministri tenutosi il 20 aprile 2016 ha approvato il Decreto legislativo di recepimento della Direttiva europea sui mutui (Direttiva UE n. 17/2014). Tra le principali novità: la possibilità di inserimento della c.d. “clausola di inadempimento”. Tale postilla è una clausola facoltativache può essere inserita o meno nel contratto di mutuo, a patto però che l'introduzione sia stata concordata da ambo le parti (banca-mutuatario).
-Se entrambe le parti aderiscono alla clausola di inadempimento, in caso di mancato pagamento di 18 rate del mutuo, anche non consecutive, la banca può procedere alla vendita dell'immobile, senza bisogno di un processo esecutivo, di un giudice e di un'asta pubblica.
In pratica con la vendita dell'immobile, si aprono due diverse strade:
a) se la banca ottiene dalla vendita un ricavo inferiore al valore dell'immobile, il mutuatario sarà libero dai debiti con l'istituto di credito (esempio, il mutuatario non ha mai pagato una rata del mutuo e, quindi, risulta debitore di 120.000 euro. La banca mutuante, dopo aver messo in vendita l'immobile, riesce a piazzarlo a 100.000 euro. In questo caso, anche se l'immobile è stato venduto ad un prezzo inferiore, il mutuatario sarà comunque liberato da tutto il debito residuo);
b) se invece, a seguito della vendita, la banca ottiene un ricavo maggiore, questa dovrà versare la differenza al debitore (esempio, il mutuatario non ha mai pagato una rata del mutuo e, quindi, risulta debitore di 120.000 euro. La banca mutuante, dopo aver messo in vendita l'immobile, riesce a piazzarlo a 140.000 euro. In questo caso il debitore oltre ad essere liberato dal debito, riceverà dalla banca la differenza del ricavato pari a €20.000).
-Se entrambe le parti non aderiscono alla clausola di inadempimento, attualmente, la disciplina sui mutui prevede la possibilità, per l'istituto di credito, di revocare il mutuo e imporre l'immediato rientro solo in caso di mancato adempimento di 7 rate. In questo caso (inadempimento da parte del debitore mutuatario) la banca attiverà il procedimento esecutivo e la vendita d'asta pubblica dell'immobile. Tuttavia, in questo caso, se la successiva vendita avviene a un prezzo inferiore rispetto al debito residuo, il debitore mutuatario non sarà liberato dal debito (esempio, il debitore non ha pagato 7 rate del mutuo e, quindi, risulta debitore di 120.000 euro e la banca mutuante, dopo aver attivato la procedura giudiziale con l'asta pubblica, riesce a vendere l'immobile a 100.000 euro. In questo caso il cliente non sarà liberato da tutto il debito residuo di 20.000 euro).
Effetto irretroattivo. La nuova disciplina non ha effetto retroattivo e non si applica, quindi, a chi ha già firmato il contratto di mutuo, ma solo a chi lo stipulerà d'ora innanzi, o meglio dopo 15 giorni dalla pubblicazione del testo di legge in Gazzetta Ufficiale. Quindi per i nuovi mutui con surroga, cioè quelli che vanno a sostituire un mutuo sottoscritto prima dell'entrata in vigore del decreto, la clausola di inadempimento non potrà essere inserita.
Il Fondo di solidarietà. Ad ogni modo,in caso di difficoltà nel pagamento delle rate del mutuo si ricorda che, in possesso dei requisiti previsti, è possibile accedere al Fondo di solidarietà per l'acquisto della prima casa che consente a certe categorie di mutuatari che si trovino in condizioni di svantaggio (fra cui perdita del posto del lavoro, sopraggiunto handicap grave o condizione di non autosufficienza) di sospendere il pagamento delle rate per 18 mesi.
Alla luce di tutto quanto innanzi esposto, si evidenzia che, da oggi, chi intende stipulare un mutuo con la banca per l'acquisto di un immobile, deve prestare attenzione alla presenza di una clausola di inadempimento. Se questa viene firmata (non è obbligatoria), la banca è autorizzata a vendere la casa, acquistata coi soldi del mutuo, qualora non vengono pagate 18 rate di seguito. Il tutto senza passare da un provvedimento del giudice, da un pignoramento e senza le aste in tribunale: la vendita avviene privatamente, ossia attraverso una procedura interna attivata dalla stessa banca. Pertanto, per garantire che il consumatore rilevi la presenza nel contratto di tale clausola e ne comprenda il senso, è previsto l'obbligo per questi di farsi assistere da un consulente per valutare la convenienza dell'operazione.


Fonte http://www.condominioweb.com/contratto-di-mutuo-inadempimento.12630#ixzz478DnpcHn
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L'area destinata a parcheggio condominiale può essere usucapita con il termine breve


L'area destinata a parcheggio 

condominiale può essere usucapita 

con il termine breve


La disciplina dei parcheggi condominiali è molto complessa e variegata. Basti considerare la successione nel tempo delle norme speciali che sono intervenute sul merito: le quali rendono, di volta in volta, peculiare, a secondo della data di costituzione del fabbricato, laquerelle da dirimere. Un effetto “distorto” (permetteteci l'espressione)discendente dalla rispettiva applicazione si coglie, in tutta la relativa portata, in una recente sentenza emessa dalla Suprema Corte qualche giorno addietro (22 aprile scorso), con la quale è stato riconosciuto a terzi l'usucapione (breve) del posto auto e quindi del “sito” ove doveva e poteva esercitarsi il predetto diritto d'uso.
Il fatto. Il caso è come quello di uno dei tanti in cui il costruttore di un edificio condominiale, pur ottenendo la licenza di costruzione con l'asservimento di una porzione del fabbricato al parcheggio (secondo misura) in favore dei condòmini (prima dell'anno 2005), aliena a terzi gli spazi anzidetti, così violando il vincolo pubblicistico del caso. A distanza di anni, i condòmini defraudati del propria prerogativa giuridica citano in giudizio la società costruttrice e i terzi che ebbero ad acquistare, (talvolta) sotto forma di altre unità immobiliare (negozi et similia), gli anzidetti spazi comuni. Questi, dapprima ottengono una Sentenza che gli riconosce il diritto d'uso sugli spazi comuni anzidetti, e successivamente il riconoscimento della violazione da parte del costruttore delle norme pubblicistiche postevi a presidio e vincolo. Successivamente, agiscono nuovamente in giudizio per mettere in esecuzione il provvedimento (passato in giudicato, frattanto), proprio nei confronti del terzi acquirenti e degli eredi del liquidatore della società costruttrice.

La Sentenza. Il giudice di legittimità non gli verrà però del tutto incontro. Questi, intanto, ha necessariamente contestualizzato, dal punto di vista normativo, il regime giuridico da applicare nella fattispecie. In proposito, ha precisato che l'art.12, comma 9, della legge 28 novembre 2005, n. 246, che ha modificato l'art. 41 sexies della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (in base al quale gli spazi per parcheggio possono essere trasferiti in modo autonomo rispetto alle altre unità immobiliari) non ha effetto retroattivo, né ha natura imperativa [cfr, Cass.Civ. 5 giugno 2012, n. 9090; 1 agosto 2008, n. 21003].
Ora, posto che, nel caso in esame,al momento dell'entrata in vigore della predetta disciplina risultavano già stipulati gli atti di vendita delle singole unità immobiliari, il Decidente ha ritenuto che trovi applicazione alla fattispecie la disciplina anteriore, di cui al citato art. 41 sexies della legge n. 1150 del 1942. Ergo,il vincolo di destinazione impresso agli spazi per parcheggio dal predetto articolo 41-sexies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, secondo il testo introdotto dalla legge 6 agosto 1967 n. 765, art. 18 - norma di per sé imperativa- non può subire deroghe mediante atti privati di disposizione degli stessi spazi, le cui clausole difformi sono perciò sostituite di diritto dalla medesima norma imperativa.
In un giudizio - qual è quello in esame -, intercorrente tra gli acquirenti degli immobili illegittimamente privati del diritto all'uso dell'area pertinente a parcheggio ex art. 18 della legge 6 agosto 1967, n. 765, ed i terzi che abbiano acquistato porzioni di tale area, la nullità dei negozi stipulati dai primi, nella parte in cui sia stata omessa tale inderogabile destinazione, con conseguente loro integrazione "opelegis", è rilevabile anche "incidenter tantum".
Cionondimeno, la Corte Cassazione ha quivi ritenuto – richiamando altri precedenti giurisprudenziali (Cass. 15 novembre 2002, n. 16053; Cass. 7 giugno 2002, n. 8262), che "la proprietà delle aree interne o circostanti ai fabbricati di nuova costruzione, su cui grava il vincolo pubblicistico di destinazione a parcheggio, può essere acquistata per usucapione, non comportandone tale vincolo indisponibilità, inalienabilità e incommerciabilità". Tale possesso utile – sempre secondo la citata sentenza - a fini di usucapione decorre in danno del proprietario dal momento dell'atto di acquisto, essendo soltanto a far tempo da esso possibile considerare distintamente il diritto dominicale (trasferito) e quello al parcheggio (non trasferito) sull'area destinata a parcheggio. E però, atteso che non è stata oggetto di censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha riconosciuto l'usucapione abbreviata ex art. 1159 c.c. in favore degli appellanti, è stato riconosciuto configurabile, alla fattispecie, il profilo dell'usucapione decennale, ai sensi dell'art. 1159 c.c., in favore di colui che abbia acquistato, come nella specie, un'area di parcheggio asseritamente vincolata al diritto d'uso "ex lege".
Conclusione. Ciò non toglie che i condòmini defraudati dal costruttore, a tal punto, possano invocare altra tutela risarcitoria per equivalente in danaro. In effetti: “Ove sia, diversamente, accertato che, pur previsto negli atti d'obbligo e nella concessione edilizia, lo spazio da adibire a parcheggio non sia stato affatto riservato a tal fine in corso di costruzione e sia stato impiegato, invece, per realizzarvi manufatti od opere d'altra natura(quali, nella specie, negozi) da destinare a diversa utilizzazione (ipotesi, cioè diversa, da quella in cui allo spazio realizzato conformemente al progetto sia stata successivamente data una diversa destinazione in sede di vendita), non può dirsi nemmeno mai costituito il rapporto di pertinenzialitàex lege voluto dalla legge urbanistica, sicché non può ravvisarsi la nullità parziale dei contratti di vendita aventi ad oggetto quei diversi manufatti, né farsi luogo a tutela ripristinatoria per ottenere la realizzazione ex novo dello spazio da destinare a parcheggio non riservato in corso d'edificazione, ammettendosi unicamente una tutela risarcitoria(Cass. 18 aprile 2003, n. 6329; Cass. 5 maggio 2009, n. 10341)”.
 Scarica Corte di Cassazione, sez. II Civile, 22 aprile 2016, n. 8220


Fonte http://www.condominioweb.com/usucapione-aree-destinate-a-parcheggio.12631#ixzz478BEHWL4
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Durc irregolare? Non esiste e, comunque, il titolo edilizio è sospeso


Durc irregolare? Non esiste e, comunque,

 il titolo edilizio è sospeso


Segnaliamo in materia di Durc, il Documento Unico di Regolarità Contributiva, la recentissima emissione dell'interpello n. 1/2016 della Commissione per gli interpelli istituita presso il Ministero del Lavoro dall'art. 12, D.Lgs. n. 81/2008 ("Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro").
L'atto è stato emesso in risposta all'istanza di interpello formulata ai sensi dell'art. 12 del detto D.Lgs., dal CNI, Consiglio Nazionale degli Ingegneri.
I quesiti posti dal CNI riguardano le conseguenze derivanti da un DURC irregolare.

Partiamo allora dal dato normativo di riferimento, per poi specificare i quesiti posti ed infine giungere alle risposte fornite dalla Commissione.
Le norme da chiarire
Partiamo dal dato normativo di cui è stato chiesto il chiarimento; si tratta dell'art. 90, co.9 e 10, D.Lgs. n. 81/2008 ("Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro").
L'art. 90 è inserito nella sezione
Questi i contenuti delle parti dei predetti commi che ci interessano:
Co. 9, D.Lgs. n. 81/2008: "Il committente o il responsabile dei lavori, anche nel caso di affidamento dei lavori ad un'impresa o ad un lavoratore autonomo":
a) verifica l'idoneità tecnico-professionale delle imprese affidatarie, delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi in relazione alle funzioni o ai lavori da affidare, con le modalità di cui all'allegato XVII. Nei cantieri la cui entità presunta è inferiore a 200 uomini-giorno e i cui lavori non comportano rischi particolari di cui all'allegato XI, il requisito di cui al periodo che precede si considera soddisfatto mediante presentazione da parte delle imprese e dei lavoratori autonomi del certificato di iscrizione alla Camera di commercio, industria e artigianato e del documento unico di regolarità contributiva, corredato da autocertificazione in ordine al possesso degli altri requisiti previsti dall'allegato XVII;
b) chiede alle imprese esecutrici una dichiarazione dell'organico medio annuo, distinto per qualifica, corredata dagli estremi delle denunce dei lavoratori effettuate all'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), all'Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro (INAIL) e alle casse edili, nonché una dichiarazione relativa al contratto collettivo stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, applicato ai lavoratori dipendenti. Nei cantieri la cui entità presunta è inferiore a 200 uomini-giorno e i cui lavori non comportano rischi particolari di cui all'allegato XI, il requisito di cui al periodo che precede si considera soddisfatto mediante presentazione da parte delle imprese del documento unico di regolarità contributiva, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 16- bis, comma 10, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e dell'autocertificazione relativa al contratto collettivo applicato;
c) trasmette all'amministrazione concedente, prima dell'inizio dei lavori oggetto del permesso di costruire o della denuncia di inizio attività, copia della notifica preliminare di cui all'articolo 99, il documento unico di regolarità contributiva delle imprese e dei lavoratori autonomi, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 16- bis, comma 10, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e una dichiarazione attestante l'avvenuta verifica della ulteriore documentazione di cui alle lettere a) e b).
Il citato art.16-bis, co.10, D.L. n.185/2008 convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, prevede che:
"10. In attuazione dei princìpi stabiliti dall'articolo 18, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, e dall'articolo 43, comma 5, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, le stazioni appaltanti pubbliche acquisiscono d'ufficio, anche attraverso strumenti informatici, il documento unico di regolarità contributiva (DURC) dagli istituti o dagli enti abilitati al rilascio in tutti i casi in cui è richiesto dalla legge."
Infine, il co.10, art.90, D.Lgs. n. 81/2008 stabilisce che "10. In assenza del piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'articolo 100 o del fascicolo di cui all'articolo 91, comma 1, lettera b), quando previsti, oppure in assenza di notifica di cui all'articolo 99, quando prevista oppure in assenza del documento unico di regolarità contributiva delle imprese o dei lavoratori autonomi, e' sospesa l'efficacia del titolo abilitativo. L'organo di vigilanza comunica l'inadempienza all'amministrazione concedente".
I quesiti del CNI
Il CNI chiedeva se un Durc irregolare sia equiparato dalla legge ad un Durc assente e, "quindi, se i lavori possano svolgersi senza che gli uffici comunali abbiano acquisito un DURC regolare dalle imprese e dai lavoratori autonomi"; il secondo quesito chiedeva se sia ammissibile in tali ipotesi la sospensione del titolo abilitativo, che, invero, il co.10 sembra riferire solo all'ipotesi specifica in cui l'assenza sia rilevata dall'organo di vigilanza.
Con il Durc online non esiste un Durc irregolare
Al primo quesito la Commissione risponde che con il Durc on-line, disciplinato dal D.M. 30/01/2015, può essere solo regolare: il documento è cioè "generato solo dopo l'esito positivo della verifica che attesta la regolare posizione del soggetto tenuto ad effettuare i versamenti contributivi" (v. interpello cit. e artt. 2, co.2 e 7, D.M. cit.); se invece risultano delle irregolarità (v. art.4, D.M. cit.), il soggetto interessato può "regolarizzare la propria posizione", solo all'esito positivo della quale, prosegue al Commissione, sarà emesso il Durc (dunque regolare).
Rileva ancora la Commissione che mentre per i lavori privati ai sensi dell'art.90, co.9, lett. a e b tocca al committente o al responsabile dei lavori chiedere il Durc alle imprese o ai lavoratori autonomi, viceversa negli appalti di lavori pubblici è la stessa stazione appaltante che deve acquisre d'ufficio il documento, e ciò sia perchè previsto dall'art. 16-bis, succitato, sia perchè l'art. 44bis, D.P.R. n. 445/2000 prevede che le informazioni sulla regolarità contributiva vengono acquisite d'ufficio ovvero controllate (secondo le modalità indicate dall'art. 71 delo stesso D.P.R.), dalle pubbliche amministrazioni procedenti, nel rispetto della specifica normativa di settore".
Il titolo abilitativo è sospeso
Quanto al secondo quesito, risponde la Commissione di ritenere che in assenza di Durc "l'amministrazione concedente sospenda l'efficacia del titolo abilitativo" e ciò, sia che le mancanze siano rilevate dell'organo di vigilanza, sia che siano rilevate direttamente dall'amministrazione concedente.
Al link il testo dell'interpello:


Fonte http://www.condominioweb.com/le-conseguenze-derivanti-da-un-durc-irregolare.12632#ixzz4787kaAvL
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mercoledì 27 aprile 2016

Impianti geotermici, Lazio e Piemonte regolano installazione e utilizzo

Impianti geotermici, Lazio e Piemonte regolano installazione e utilizzo

di Paola Mammarella

Il Lazio istituisce il registro dei piccoli impianti, il Piemonte detta linee guida tecniche in attesa delle norme nazionali

27/04/2016 – Utilizzo delle risorse geotermiche per promuovere l’efficienza energetica degli impianti. È la soluzione su cui stanno puntando alcune Regioni con l’adozione di norme in  grado di indirizzare gli operatori.
 
Nel Lazio, la Legge regionale 3/2016, entrata in vigore nei giorni scorsi, sostiene l’uso delle risorse geotermiche a bassa entalpia e l’installazione di impianti di produzione di calore e raffrescamento da risorsa geotermica.
 
La norma regola le piccole utilizzazioni locali di calore geotermico. Si tratta di quelle definite dall’articolo 10 del Decreto Legislativo 22/2010, cioè che consentono la realizzazione di impianti di potenza inferiore a 2 MW termici e che sono ottenute tramite l’esecuzione di pozzi di profondità fino a 400 metri per ricerca, estrazione e utilizzazione di acque calde e fluidi geotermici, comprese le acque calde sgorganti da sorgenti per potenza termica complessiva non superiore a 2000 kW termici.
 
La legge annuncia anche la predisposizione di incentivi nell’ambito della programmazione 2014-2020 dei fondi strutturali comunitari e istituisce ilRegistro regionale degli impianti geotermici, cui devono registrarsi tutti i proprietari dei piccoli impianti. Sono inoltre stabiliti dei divietiall’installazione degli impianti geotermici nelle aree di rispetto delle risorse idropotabili, aree critiche per i prelievi idrici, aree sottoposte a vincoli relativi al rischio di dissesto e zone dove si riscontra presenza di gas radon con livelli superiori a 300 becquerel per metro cubo.
 
In Piemonte, con il Decreto dirigenziale 66/2016 sono state dettate le linee guida regionali per l’installazione e la gestione delle sonde geotermiche.
 
Le linee guida differenziano i piccoli impianti e i grandi impianti. Appartengono ai primi quelli con potenza termica o frigorifera utile inferiore o uguale a 30 kW, mentre nei secondi rientrano con potenza termica o frigorifera utile superiore a 50 kW. Sono comunque equiparati ai grandi impianti tutti gli impianti che necessitano di più di 10 sonde geotermiche verticali anche se di potenza termica o frigorifera utile inferiore a 50 kW.
 
Le linee guida colmano, dal punto di vista tecnico, il vuoto legislativo creato dal D.lgs. 28/2011 in base al quale, entro 3 mesi dalla sua entrata in vigore, doveva essere approvato un decreto ministeriale per regolare la posa in opera delle sonde geotermiche e i casi in cui poter usare le procedure abilitative semplificate.
 
L’adozione delle linee guida, si legge nell’introduzione, è stata inoltre dettata dalla carenza di una specifica normativa per quanto riguarda gli impianti a circuito chiuso a fronte di un sempre più elevato numero di installazioni che rendono necessarie precauzioni ambientali riguardo profondità e modalità di perforazione delle sonde, al fine di garantire il rispetto della normativa regionale in materia di protezione delle acque sotterranee.

FONTE : EDILPORTALE.COM
 

Condominio e spese per lavori straordinari: paga il soggetto proprietario dell'immobile al momento dell'adozione della delibera definitiva.


Condominio e spese per lavori 

straordinari: paga il soggetto 

proprietario dell'immobile al 

momento dell'adozione della delibera

 definitiva.



Il Tribunale di Mantova ha stabilito che il soggetto sul quale grava l'obbligo di contribuire alle spese è il proprietario dell'immobile nel momento in cui è stata adottata la delibera definitiva che approva i lavori conferendo l'incarico alla ditta appaltatrice.
Gli acquirenti di un appartamento ubicato in un edificio condominiale impugnano la sentenza di primo grado che li ha condannati al pagamento delle spese straordinarie approvate, a loro parere, con delibera assembleare adottata prima della compravendita dell'immobile avvenuta in data 27 ottobre 2011. Gli acquirenti, pertanto, si oppongono al pagamento di tale spesa sostenendo che doveva restare a carico di parte venditrice.

In realtà, nel giudizio di primo e secondo grado, è emerso che la delibera adottata prima della compravendita aveva solo natura preparatoria, mentre la delibera definitiva che conferiva incarico all'impresa per l'esecuzione dei lavori straordinari (sostituzione dell'impianto di ascensore) era stata adottata dopo la compravendita e pertanto la stessa doveva considerarsi a carico del proprietario dell'immobile e cioè dell'acquirente.
Nel caso di vendita di un appartamento la giurisprudenza di legittimità ha stabilito, già da qualche anno, che per stabilire il soggetto sul quale grava l'onere di partecipare alle spese straordinarie occorre verificare il momento in cui è stata approvata la delibera che approva i lavori definitivi con la commissione del relativo appalto e la ripartizione dei relativi oneri: pertanto se questa è stata adottata dopo la vendita dell'appartamento il soggetto obbligato a partecipare alla spesa è l'acquirente “non rilevando l'esistenza di una deliberazione programmatica e preparatoria adottata anteriormente a tale stipula”. (Cass. 2.5.2013 n. 10325)
nell'ipotesi opposta di spese condominiali deliberate prima della vendita di un immobile:
Spese straordinarie deliberate prima della vendita di una unità immobiliare: chi le paga?
Tale principio è stato ampliamente condiviso dalla sentenza del Tribunale di Mantova che ha effettuato un'articolata ricostruzione dei criteri che governano la riscossione dei contributi condominiali, ed aderendo ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, ha osservato che l'obbligo di contribuire alle spese comuni grava sul soggetto proprietario dell'immobile al momento dell'esecuzione dei lavori indipendentemente da chi fosse il proprietario al momento dell'adozione della delibera preparatoria che approva l'opera (Cass. 26.1.2000 n. 857; Cass.18.4.2003 n. 6223; Cass. 9.9.2008 n. 23345; Cass. 9.11.2009 n. 23686).
Un ulteriore contributo chiarificatore per stabilire il soggetto su cui grava l'onere di contribuire alle spese condominiali è stato fornito, nel corso degli ultimi anni, sempre dalla giurisprudenza di legittimità secondo la quale assume rilevanza anche la natura delle spese necessarie per la manutenzione delle parti comuni dell'edificio.
Infatti stando alle pronunce più recenti occorrerebbe fare distinzione fra spese ordinarienecessarie per la manutenzione, conservazione e godimento delle parti e dei servizi comuni, e spese straordinarie che comportino, ad esempio, un'innovazione oppure un onere particolarmente rilevante.
Per quanto riguarda le spese ordinarie l'obbligazione sorge al momento del compimento dell'intervento ritenuto necessario dall'amministratore, a prescindere dal momento in cui è stata adottata la delibera assembleare. Mentre per le spese straordinarie solo la deliberazione dell'assemblea, chiamata a determinare quantità, qualità e costi dell'intervento, assumerebbe altresì valore costitutivo della relativa obbligazione in capo a ciascun condomino. (Cass., 3 dicembre 2010, n. 24654; Cass., 11 novembre 2011, n. 23682; Cass., 2 maggio 2013, n. 10235)
In base a tale ragionamento non vi è alcun dubbio, quindi, che se occorre stabilire chi è il soggetto sul quale grava l'onere di partecipare alle spese straordinarie (venditore o acquirente) bisogna verificare chi è il proprietario al momento dell'adozione della delibera assembleare definitiva che conferisce l'incarico anche all'impresa appaltatrice che eseguirà i lavori.
Tanto è bastato al Tribunale di Modena per respingere l'appello e confermare la sentenza di primo grado condannando l'acquirente, già proprietario dell'immobile al momento dell'approvazione della delibera assembleare che ha approvato definitivamente i lavori straordinari (sostituzione dell'impianto di ascensore), a partecipare pro quota alla spesa.
 Trib. Mantova, 5 gennaio 2016


Fonte http://www.condominioweb.com/compravendita-e-spese-straordinarie-paga-il-proprietario.12625#ixzz472pDR5yF
www.condominioweb.com 

Il condomino moroso non può opporsi al decreto ingiuntivo per errori contabili approvati


Il condomino moroso non può opporsi 

al decreto ingiuntivo per errori contabili 

approvati


Il condomino moroso non può opporsi all'ingiunzione di pagamento del Condominio per errori contabili contenuti in bilanci già definitivamente approvati dall'assemblea e mai impugnati.
È questo il principio di diritto ribadito dal Tribunale di Roma con la sentenza n. 188 del 7 gennaio 2016. Il giudice capitolino ricorda che eventuali contestazioni sulle risultanze contabili dei bilanci vanno sollevate impugnando la relativa delibera di approvazione degli stessi entro il termine perentorio di trenta giorni previsto dall'art. 1137 c.c.
Nel caso di specie la delibera condominiale che aveva approvato il bilancio consultivo e preventivo non è stata impugnata nei termini. Dunque, è divenuta definitiva, così come definitivi sono i conteggi contenuti nei relativi bilanci approvati che, pertanto, non possono più essere oggetto di contestazione in sede di opposizione al decreto ingiuntivo.

Il fatto - Il Condominio otteneva decreto ingiuntivo in forma esecutiva nei confronti di una condòmina per il pagamento di oneri condominiali scaduti e non pagati, risultanti dal bilancio consultivo 2011 e preventivo 2012, entrambi approvati dall'assemblea con delibera mai impugnata.
La condòmina proponeva opposizione al decreto ingiuntivo, contestando le richieste del condominio in quanto, a suo dire, sarebbero da ricondurre ad irregolarità di natura contabile contenute nei bilanci già approvati in assemblea, accertate al passaggio delle consegne tra la precedente gestione condominiale e l'attuale.
Nel risolvere la controversia, il tribunale richiama gli indirizzi giurisprudenziali orma consolidati in materia, in base ai quali il condomino intimato a pagare non può difendersi sostenendo l'esistenza di errori di calcolo contenuti in bilanci già definitivamente approvati dall'assemblea.
"In sede di opposizione a decreto ingiuntivo il condomino intimato non può legittimamente sollevare eccezioni di merito con riguardo a spese il cui preventivo a consultivo sia stato regolarmente approvato dall'assemblea dei condomini, senza che - anche - la relativa delibera sia stata tempestivamente ed efficacemente impugnata" ovvero sospesa con atto dell'autorità" (Cass. civ. 12.11.2012 n. 19605; Trib. Roma 2.1.2015 n. 30; Trib. Milano 24.9.2015 n. 10718).
Detto in altri termini, se si vuole contestare i bilanci condominiali bisogna farlo impugnando la relativa delibera assembleare che li ha approvati entro il termine perentorio di trenta giorni previsto dall'art. 1137 c.c.
Ora, se si consentisse al condomino moroso di contestare la delibera di approvazione dei bilanci nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo - magari celebrato a distanza di molto tempo - si avrebbe come risultato la sostanziale elusione del termine di impugnazione delle delibere assembleari, che invece ha carattere perentorio. Ciò comporterebbe, inoltre, il protrarsi di una situazione di incertezza e di precarietà dei conti condominiali, che sarebbero sempre oggetto di possibili contestazioni, con il pericolo di ostacolare la corretta gestione contabile del condominio.
Nel caso di specie, le eccezioni sollevate della condomina sono state rigettate proprio perché la stessa non ha tempestivamente impugnato la delibera di approvazione del riparto delle spese di cui lamenta l'errato conteggio. Né, del resto, avrebbe potuto farlo, perché il termine di trenta giorni era già decorso da tempo.
Ne consegue che la relativa delibera non è più impugnabile e ha forza di giudicato in ordine alla prova del credito vantato dal condominio attraverso la procedura monitoria, mentre risultano conseguentemente non provati i motivi di opposizione sollevati dalla condomina.
In questi casi, il condòmino potrà opporsi all'ingiunzione di pagamento sollevando altri motivi, ad esempio eccezioni di rito (in ordine all'ammissibilità o improcedibilità della domanda proposta dal Condominio), oppure dimostrare di aver già pagato o, come nel caso di specie, di aver versato un acconto della somma da pagare e, dunque, ottenendo una riduzione dell'importo indicato nel decreto ingiuntivo.
 Tribunale di Roma, n. 188 del 7 gennaio 2016


Fonte http://www.condominioweb.com/il-condomino-moroso-non-puo-opporsi-al-decreto-ingiuntivo-per.12629#ixzz472nneSDj
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