venerdì 26 febbraio 2016

Nulla la delibera che modifica, a maggioranza, i criteri di ripartizione delle spese



Nulla la delibera che modifica, a maggioranza, i criteri di ripartizione delle spese





È nulla la delibera dell'assemblea condominiale con la quale, senza il consenso di tutti i condòmini, si modificano i criteri legali di ripartizione delle spese comuni stabiliti dall'art. 1123 c.c. o dal regolamento dicondominio contrattuale.Lo ha ribadito il Tribunale di Perugia con la sentenza n. 602 del 24 marzo 2015.
Il giudice umbro ricorda che eventuali deroghe alle regole di ripartizione delle spese per beni e servizi comuni, venendo ad incidere sui diritti individuali dei singoli condòmini, possono essere ammesse solo con l'unanimità dei consensi. Ne consegue la radicale nullità della delibera, anche se approvata a maggioranza qualificata. La stessa potrà essere dunque impugnata senza limiti di tempo e da chiunque, anche dai condòmini che abbiano espresso voto favorevole alla deroga.
Il fatto. La sentenza in commento riguarda l'impugnazione della delibera condominiale con la quale l'assemblea aveva approvato, a maggioranza, il bilancio consultivo e il relativo riparto, entrambi predisposti utilizzando criteri difformi da quelli contenuti nel regolamento condominiale. L'attore, in particolare, contestava il comportamento dell'amministratore, che aveva ripartito le spese con criteri diversi da quelli previsti nel regolamento, senza la preventiva convocazione sullo specifico punto dell'assemblea e senza, dunque, l'unanimità dei consensi di tutti i condòmini.
Il Tribunale, in accoglimento della domanda, ha stabilito che l'introduzione di un nuovo e diverso criterio di ripartizione delle spese, diverso da quello previsto dal regolamento condominiale e ditabelle ad esso allegate, comporta la nullità della delibera, ai sensi dell'art. 1123 c.c. e 68 disp. att. c.c.
Tale modifica può avvenire infatti solo con il consenso unanime dei condòmini, cioè attraverso un vero e proprio accordo contrattuale, con il quale tutti i partecipanti al condominio esprimono la volontà di procedere alla ripartizione delle spese comune con criteri differenti. In mancanza di tale accordo, la delibera, anche se adottata a maggioranza qualificata, è nulla. Ciò significa che, ai sensi dell'art. 1421 c.c., l'invalidità della delibera “può essere fatta valere dal condòmino che vi abbia interesse, presente o assente, consenziente o dissenziente che sia stato all'approvazione della delibera impugnata, e non è soggetta a termine di impugnazione.
La sentenza in commento non rappresenta certo una novità nel panorama giurisprudenziale, ponendosi in linea con l'orientamento seguito dalla Corte di Cassazione.
I giudici di legittimità, infatti, hanno più volte affermato che: “deve ritenersi affetta da nullità,che può essere fatta valere dallo stesso condomino che abbia partecipato all'assemblea ancorché nella stessa abbia espresso parere favorevole e quindi sottratta al termine di impugnazione di giorni trenta previsto dall'art. 1137 c. c., la delibera dell'assemblea condominiale con la quale, senza il consenso di tutti i condomini, si modifichino i criteri legali ex art. 1123 c.c. o di regolamento contrattuale di riparto delle spese, per la prestazione di servizi nell'interesse comune. Ciò in quanto eventuali deroghe, venendo ad incidere sui diritti individuali del singolo condomino attraverso un mutamento del valore della parte di edificio di sua esclusiva proprietà, possono conseguire soltanto ad una convenzione cui egli aderisca. Ne consegue che la modifica a maggioranza, sia pure qualificata, del criterio di ripartizione delle spese, e non all'unanimità, si deve considerare nulla e l'azione può essere proposta in ogni tempo anche da chi abbia partecipato con il suo voto favorevole alla formazione della delibera nulla” (Cass. civ. n. 15042 del 14.6.2013)


Scarica Tribunale di Perugia, n. 602 del 24 marzo 2015



Valvole termostatiche: ma quanto mi costano?

Valvole termostatiche: ma quanto mi costano?


Entro l'anno sarà obbligatorio installate valvole termostatiche in ogni casa, con una spesa media di 78 euro l'una. Multe fino a 2.500 euro per gli inadempienti
Costi e benefici. Se l'introduzione di valvole termostatiche e di ripartitori elettronici del calore per il conteggio pro-capite di ogni singolo condomino porterà una serie di vantaggi, il nuovo sistema di riscaldamento casalingo richiede una particolare attenzione. Infatti, per ridurre la spesa energetica delle abitazioni italiane, è obbligatorio installare,entro la fine del 2016, le valvole termostatiche in ogni immobile ma, da un'indagine svolta dal portale ProntoPro.it, analizzando i prezzi richiesti dagli idraulici nelle principali città italiane, emerge che saranno necessari, in media, 78 euro per ogni valvola termostatica, potendo oscillare fra i 70 e i 100 euro. Dunque, se si prende in considerazione unappartamento medio di 80 mq con 5 termosifoni il costo totale si attesta intorno ai 390 euro.
Nelle grandi città, come Milano e Roma, in cui i costi per i lavori di manutenzione domestica sono più alti, i prezzi sostenuti possono registrare un aumento del 28% e del 22% rispetto alla media nazionale. Pertanto, per l'appartamento tipo di cui si è riportato l'esempio, si può arrivare a sostenere una spesa di 475 euro.
Le aree urbane in cui la media dei costi è inferiore rispetto a quella nazionale sono le città del Centro e del Sud Italia. Spiccano, infatti, Massa Carrara e Grosseto in cui si registra un -12%.
E se il radiatore è munito di valvole predisposte a ricevere un congegno aggiuntivo che le rende termostatiche, i costi possono abbassarsi anche della metà.
Valvole termostatiche obbligatorie: perché? La direttiva europea 2012/27/Ue introduce quest'obbligo dopo la constatazione che l'utilizzo delle testine termostatiche consente di ridurre i costi del riscaldamento domestico fino a circa il 23% poiché la gestione intelligente della temperatura in funzione di ogni specifico ambiente, che si stabilizza e uniforma in tutta la casa, evita sprechi e dispersioni.
La mancata installazione entro i termini previsti prevede delle sanzioni comprese tra 500 e 2.500 euro, a seconda delle disposizioni previste dalle varie Regioni.
I suggerimenti per usare al meglio le valvole termostatiche. Per usare nel migliore dei modi le valvole termostatiche, gli idraulici consigliano di regolare ogni singola valvola a proprio piacimento attraverso una scala graduata attorno alla manopola con dei numeri che di solito vanno da 0 a 5. Pur non corrispondendo a una temperatura specifica, si può ritenere che il 3 corrisponde a circa 20 gradi nella stanza. Tuttavia, dal momento che la corrispondenza può variare a causa della posizione del radiatore stesso e della valvola, i professionisti suggeriscono di trovare la giusta equivalenza tra il numero sulla valvola e la temperatura della stanza usando un termometro oppure, semplicemente, facendo affidamento sulla propria sensazione. Un altro suggerimento è quello di abbassare la temperatura durante le ore in cui la casa è disabitata per rialzarla al momento del rientro. Infine, si suggerisce di non superare mai i 20°C, limite peraltro previsto dalla legge, sia per non trovare brutte sorprese in bolletta che per evitare sbalzi di temperatura eccessivi tra l'ambiente interno delle abitazioni e quello esterno.
I vantaggi. Dotare l'impianto di riscaldamento centralizzato a gas metano di valvole termostatiche porta indubbiamente una serie di vantaggi. Infatti, consente di rendere energeticamente efficiente l'intero immobile, contribuendo anche alla riduzione di emissioni di CO2; abbatte i consumi, premiando le famiglie virtuose che ridurranno le temperature attraverso l'impiego delle valvole termostatiche; permette a ogni famiglia di pagare sulla base dell'effettivo fabbisogno energetico, effettuando il conteggio tramite l'uso dei sistemi di ricezione dei consumi.
Cosa dice la Cassazione? Anche i giudici si sono interrogati sulle modalità e costi di installazione. Infatti, recentemente con sentenza n. 8724 del 29/04/2015 la Corte Suprema di Cassazione,ha espresso il seguente principio: se il condominio delibera il passaggio dal riscaldamento centralizzato al sistema di termoregolazione, in caso di sovrapposizione dei consumi, non può essere il condominio a dovere sopportare i maggiori costi causati dell'avvenuta trasformazione. Il Giudice di legittimità ha quindi precisato che non può essere il Condominio a dovere sopportare i maggiori costi per l'installazione all'interno della proprietà del condòmino dissenziente dei contatori elettronici e delle valvole termostatiche, stante la preesistenza di un impianto autonomo di riscaldamento (integrativo a quello “comune”).


venerdì 19 febbraio 2016

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Rumori in Condominio: il danno è insito e la prova del superamento della normale tollerabilità può essere fornita con testimoni.

Rumori in Condominio: il danno è insito e la prova del superamento della normale tollerabilità può essere fornita con testimoni.


Accertato il superamento della soglia della normale tollerabilità delle immissioni, l'esistenza del danno è in re ipsa e, pertanto, si ha diritto ad ottenere il risarcimento del danno a norma dell'art. 2043 c.c., fino a quando il pregiudizio derivante dalle immissioni intollerabili non venga eliminato.
Detto costante orientamento è stato altresì confermato dalla Corte di Cassazione, nella sentenza del 12.02.2016, n. 2864 che, tuttavia, contiene ulteriori elementi di interesse.
Ed invero, ai sensi dell'art. 844 c.c.: “Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi. Nell'applicare questa norma l'autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso”.
Sulla scorta di tale presupposto, una condomina convenne in giudizio un'altra partecipante alla comunione, chiedendo che la stessa venisse condannata al risarcimento del danno cagionatole da immissioni rumorose provenienti dal suo appartamento.
Sull'opposizione della convenuta, il Giudice di pace adito, espletata l'istruttoria, con l'audizione di alcuni testimoni - condòmini del medesimo stabile - in accoglimento della domanda, condannava la convenuta al risarcimento del danno.
Proposto appello, il Tribunale di Pescara confermava integralmente la pronuncia del giudice di prime cure.
La condomina soccombente, pertanto, proponeva ricorso per la cassazione della sentenza di appello, affidandolo a otto motivi.
Sostanzialmente i primi sette motivi di ricorso attenevano alla violazione di legge e al vizio di motivazione, in merito alla modalità di accertamento del superamento dei normali limiti di tollerabilità, basate su mere testimonianze e, quindi, su valutazioni personali, piuttosto che su una necessaria consulenza tecnica, testimonianze, peraltro rese da due condomine del medesimo stabile, soggetti incapaci a deporre, siccome portatrici di un personale interesse nel giudizio, che avrebbe anche potuto legittimare un loro intervento in causa, non fosse altro perché una delle testimoni aveva anche presentato un esposto denunciando i pretesi rumori molesti.
Con il restante motivo la ricorrente deduceva la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., degli artt. 1226, 2043, 2056, 2059 e 2697 c.c., nonché degli artt. 185 e 659 c.p., per “avere i giudici di merito riconosciuto all'attrice il risarcimento del danno nonostante che non potesse essere ravvisabile alcun danno non patrimoniale in quanto il fatto non configurava alcun reato e l'attrice non avesse fornito alcuna prova del danno”.
La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2864, del 12.02.2016, rigetta integralmente il ricorso.
In particolare, per quanto concerne la dedotta mancanza del danno ovvero la sua carenza di prova, il Collegio, richiamando la propria consolidata giurisprudenza, ribadisce che: “quando venga accertata la non tollerabilità delle immissioni, l'esistenza del danno è in re ipsa e, pertanto, il vicino, fino a quando il pregiudizio derivante dalle immissioni intollerabili non venga eliminato, ha diritto ad ottenere il risarcimento del danno a norma dell'art. 2043 cod. civ. (Sez. 2, Sentenza n. 4693 del 18/10/1978, Rv. 394378; Sez. 2, Sentenza n. 2580 del 12/03/1987, Rv. 451713; Sez. 3, Sentenza n. 5844 del 13/03/2007, Rv. 597527)”.
Come affermato dalla Corte, detto principio risulta assolutamente pacifico. Tanto è vero che, l'univoca giurisprudenza ritiene sussista un automatismo tra il superamento della tollerabilità e il danno: “l'accertamento del superamento della soglia della normale tollerabilità di cui all'art. 844 c.c., comporta nella liquidazione del danno da immissioni, sussistente in re ipsa”.
Peraltro, viene escluso anche “qualsiasi criterio di contemperamento di interessi contrastanti e di priorità dell'uso, in quanto venendo in considerazione, in tale ipotesi, unicamente l'illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema dell'azione generale di risarcimento danni di cui all'art. 2043 c.c. e, specificamente, per quanto concerne il danno alla salute, nello schema del danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell'art. 2059 c.c.” (Da ultimo: Cass. civ. Sez. II, 31/10/2014, n. 23283. Nello stesso senso: Cass. civ. Sez. III, 09/05/2012, n. 7048; Cass. civ. Sez. III Sent., 13/03/2007, n. 5844).
Per quanto riguarda le ulteriori doglianze della ricorrente, in particolare, per quanto concerne l'eccepita incapacità a testimoniare dei condòmini, la Suprema Corte, ritiene che: “L'art. 246 cod. proc. civ. prevede la incapacità a testimoniare delle persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio. Nel caso di specie, non risulta che le testimoni assunte, condomine del medesimo edificio, abbiano un tale interesse; interesse che potrebbe sussistere solo ove gli appartamenti da esse abitati si trovassero nella medesima posizione — rispetto all'appartamento dal quale provengono le immissioni rumorose — dell'appartamento dell'attrice ovvero in una posizione assimilabile, tale da consentire di percepire le immissioni rumorose con la medesima intensità. Ciò nel caso di specie non risulta essere stato dedotto. Irrilevante è l'esposto presentato da una delle testimoni alla Questura, diversi essendo i presupposti dell'illecito denunciato con l'esposto rispetto a quello per cui è causa (riferibile alla fattispecie di cui all'art. 844 cod. civ.)”.
Per quanto concerne la prova sul superamento della normale tollerabilità delle immissioni rumorose, la Corte considera che nulla vieta - in astratto - che: “l'entità delle immissioni rumorose e il superamento del limite della normale tollerabilità possa essere oggetto di deposizione testimoniale (anche in relazione agli orari e alle caratteristiche delle immissioni stesse), spettando poi al giudice valutare, oltre l'attendibilità, anche la congruità delle dichiarazioni rese rispetto al thema probandum”(Cass. civ. Sez. II, 12/02/2016, n. 2864).
Orbene, se appare incontrovertibile che i testimoni possano utilmente deporre su circostanze quali “gli orari e le caratteristiche delle immissioni”, non altrettanto può dirsi in merito alla decisiva condizione del superamento dei limiti di tollerabilità.
Affidare un tale accertamento alla dichiarazione di un testimone, implicherebbe la possibilità per lo stesso di esprimere una mera valutazione personale che, in quanto tale, dovrebbe risultare inammissibile.
Appare evidente che ogni individuo ha una sensibilità ed una percezione del rumore differente e, come tale, anche la tollerabilità risulterebbe variabile da soggetto a soggetto, pertanto, sarebbe più opportuno delegare una tale considerazione ad un accertamento tecnico, in grado di dimostrare indubitabilmente l'eccessiva rumorosità delle immissioni, secondo una valutazione fatta sul modello astratto del cd. uomo medio, escludendo situazioni di eccessiva tolleranza ovvero di ipersensibilità.
E' tuttavia da segnalare come la medesima Suprema Corte ha, a più riprese, ammesso una tale prova, fondata appunto sulle deposizioni testimoniali, sia pure con dei distinguo.
Tanto è vero che: “In tema di immissioni (nella specie di rumori provocati dallo svolgimento di attività sportive), i mezzi di prova esperibili per accertare il livello di normale tollerabilità previsto dall'art. 844 cod. civ. non debbono essere necessariamente di natura tecnica, non venendo in rilievo l'osservanza dei limiti prescritti dalle leggi speciali (in particolare la legge n. 477 del 1995 sul cosiddetto inquinamento acustico) la cui finalità è quella di garantire la tutela di interessi collettivi e non di disciplinare i rapporti di vicinato. Pertanto, è ammissibile la prova testimoniale quando la stessa, avendo ad oggetto fatti caduti sotto la diretta percezione sensoriale dei deponenti, non può ritenersi espressione di giudizi valutativi (come tali vietati ai testi), e ciò tanto più nell'ipotesi in cui - trattandosi di emissioni rumorose discontinue e spontanee - le stesse difficilmente sarebbero riproducibili e verificabili su un piano sperimentale” (Cass. civ. Sez. II, 31/01/2006, n. 2166).
Peraltro, richiamando una sentenza abbastanza risalente nel tempo (di recente confermata dalla Sezioni Unite), la valutazione della tollerabilità, o meno, delle immissioni, deve tener giustamente conto dell'effettivo stato dei luoghi e dell'eventuale rumore di fondo: “Il limite della normale tollerabilità delle immissioni ha carattere non assoluto, ma relativo, nel senso che deve essere fissato con riguardo al caso concreto, tenendo conto delle condizioni naturali e sociali dei luoghi, delle attività normalmente svolte, del sistema di vita e delle abitudini delle popolazioni e, con particolare riguardo alle immissioni sonore, occorre fare riferimento alla cosiddetta rumorosità di fondo della zona, e cioè a quel complesso di suoni di origine varia e spesso non identificabili, continui e caratteristici del luogo, sui quali s'innestano di volta in volta rumori più intensi prodotti da voci, veicoli ecc.. Il relativo apprezzamento, risolvendosi in un'indagine di fatto, è demandato al giudice del merito e si sottrae al sindacato di legittimità se correttamente motivato e immune da vizi logici e giuridici” (Cass. civ. Sez. II, 4/12/1978, n. 5695. Nello stesso senso: Cass. civ. Sez. Unite, 27/02/2013, n. 4848).
Da segnalare, infine, la diversità ontologica tra il concetto di normale tollerabilità dettato dall'art. 844 c.c. e i valori limite delle sorgenti sonore di cui al Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri del 14 novembre 1997, per cui: “I parametri fissati dalle norme speciali a tutela dell'ambiente (dirette alla protezione di esigenze della collettività, di rilevanza pubblicistica), pur potendo essere considerati come criteri minimali di partenza, al fine di stabilire l'intollerabilità delle emissioni che li eccedano, non sono necessariamente vincolanti per il giudice civile che, nello stabilire la tollerabilità o meno dei relativi effetti nell'ambito privatistico, può anche discostarsene, pervenendo al giudizio di intollerabilità, ex art. 844 cod. civ., delle emissioni, ancorché contenute in quei limiti, sulla scorta di un prudente apprezzamento che consideri la particolarità della situazione concreta e dei criteri fissati dalla norma civilistica (invero posta preminentemente a tutela di situazioni soggettive privatistiche, segnatamente della proprietà). La relativa valutazione, ove adeguatamente motivata, nell'ambito dei criteri direttivi indicati dal citato art. 844 cod. civ., con particolare riguardo a quello del contemperamento delle esigenze della proprietà privata con quelle della produzione, costituisce accertamento di merito insindacabile in sede di legittimità” (Cass. civ. Sez. II, 25/08/2005, n. 17281).


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Scarica Cass. sez. civ, n. 2864 del 12 febbraio 2016


Fonte http://www.condominioweb.com/rumori-in-condominio-la-prova-del-superamento-della-normale-tollerabilita.12443#ixzz40caMyWWq
www.condominioweb.com 

Contratto di assicurazione per il condominio. Occhio alle scadenze.

Contratto di assicurazione per il condominio. Occhio alle scadenze.


Il contratto di assicurazione deve considerarsi risolto di diritto se l'assicuratore entro sei mesi dalla scadenza del premio non agisce per la riscossione. Una volta decorso tale termine, non esiste più alcun vincolo contrattuale fra assicuratore ed assicurato.
Il condominio impugna in appello la sentenza del Giudice di pace che lo aveva condannato al pagamento del premio assicurativo in favore della compagnia di assicurazioni avente scadenza in data 31.12.2010.
Nell'unico motivo di appello, instaurato dinanzi al Tribunale di Verona, il Condominio ha lamentato che la pronuncia di primo grado ha omesso di esaminare l'eccepita intervenuta risoluzione del contratto di assicurazione. In pratica d'altra parte l'Assicurazione continuava ancora a considerare in vita l'originario contratto di assicurazione, malgrado quest'ultima entro sei mesi dalla scadenza contrattuale non aveva agito per la riscossione del premio, e pertanto continuava a considerare valido l'originario contratto in virtù del quale chiedeva al Condominio il pagamento del relativo premio.
D'altra parte, invece, il Condominio ha eccepito fermamente la risoluzione del contratto di diritto in virtù del principio sancito dal terzo comma dell'art. 1901 del codice civile e quindi l'assenza di ogni obbligo in merito al pagamento del premio assicurativo.
Il Tribunale di Verona accoglie l'appello del Condominio il quale già durante lo svolgimento del giudizio di primo grado aveva negato l'esistenza di un contratto assicurativo che legittimasse l'assicurazione alla pretesa di pagamento del relativo premio.
A tal fine il condominio ribadisce che nel giudizio di primo grado aveva eccepito il pagamento del premio assicurativo dovuto per l'anno 2007 era avvenuto ben oltre il termine di sei mesi previsti dal terzo comma dell'art. 1901 del codice civile e cioè in data 4.2.2009, e che pertanto il contratto di assicurazione doveva considerarsi risolto di diritto.
Riguardo al termine entro il quale provvedere al pagamento dei premi di assicurazione, nel rispetto dei quanto dispone il terzo comma dell'art. 1901 del codice civile il Tribunale di Verona si riporta al principio sancito dalla Cassazione secondo cui “ qualora l'assicuratore lasci trascorrere il termine di sei mesi dalla scadenza del premio ed agisca poi per il pagamento, non solo del premio relativo al periodo assicurativo in corso al momento del decorso di quel termine,e, quindi, della risoluzione di diritto del contratto ai sensi dell'art. 1901, terzo comma, c.c., ma anche di premi dovuti per periodi successivi, l'avvenuta verificazione di detta risoluzione, quale fatto impeditivo del diritto dell'assicuratore alla corresponsione dei premi per i periodi successivi, costituisce fatto integratore di un'eccezione in senso lato e, conseguentemente può essere rilevata d'ufficio dal giudice” (Cass.civ., sez. III, 12.1.2007 n. 494).
In base a tale principio, osserva il Tribunale di Verona, la sentenza di primo grado avrebbe dovuto rilevare che la pretesa avanzata dall'assicurazione si fondava su un contratto ormai risolto a fronte del decorso del termine semestrale previsto dal terzo comma dell'art. 1901 del codice civile dato che il premio avente scadenza 31.12.2007 era stato pagato in data 4.2.2009, e quindi ben oltre il termine di sei mesi dalla scadenza del premio pertanto, a fronte di tale situazione, non esisteva alcun contratto in vita che legittimasse l'assicuratore a prendere i premi successivi.
Riguardo alla scadenza del termine in questione, ed alla risoluzione di diritto del contratto che dallo stesso scaturisce il Tribunale di Verona puntualizza che l'effetto risolutivo si “ determina in modo immediato ed automatico a fronte del decorso del termine semestrale … intervenuto il quale la riattivazione del rapporto non è più consentita giacché i comportamenti dei contraenti successivi alla scadenza di detto termine non possono far rivivere un rapporto ormai estinto, ma sono valutabili solo al diverso fino dell'eventuale stipulazione di un nuovo contratto” (Cass. civ., sez. I, 29.1.1980 n. 685).
In pratica, nel contratto di assicurazione una volta decorso il termine semestrale entro il quale l'assicuratore deve agire per la riscossione del premio assicurativo, il contratto deve considerarsi risolto non potendo i contraenti ritenere ancora in vita il vincolo contrattuale oltre tale termine. In tale ipotesi si è al cospetto del “principio di indisponibilità dell'effetto risolutivo, che garantisce che l'assicurato sia tutelato nei confronti dell'assicuratore che non curandosi della riscossione del premio possa mantenere in vita un rapporto contrattuale a suo esclusivo vantaggio a seguito del persistere dell'inadempimento dell'assicurato, nonostante la cessazione della copertura del rischio“ (Cass. civ. sez. I, 14.11.1989 n. 4849).


Fonte : http://www.condominioweb.com/contratto-di-assicurazione-se-il-premio-non-viene-riscosso.12440#ixzz40cYP9IFp
www.condominioweb.com 

Infiltrazioni per mancata manutenzione della facciata. Il condominio paga i danni.



Infiltrazioni per mancata manutenzione della facciata. Il condominio paga i danni.





Il Condominio, in persona del suo amministratore, è considerato custode delle cose e servizi comuni ed è tenuto alla sorveglianza ed alla manutenzione con la diligenza del buon padre di famiglia. In caso contrario, risponde dei danni provocati a terzi, causati dalla mancata o scarsa manutenzione dei beni comuni.
A ricordarlo è il Tribunale di Napoli, che con sentenza del 28 gennaio 2016 ha condannato il Condominio a risarcire i danni provocati dalla cattiva manutenzione della facciata esterna dell'edificio. Il cattivo stato di conservazione della parete, infatti, determinava infiltrazioni di acque nell'appartamento del condòmino, danneggiando le pareti del soggiorno, del ripostiglio, del corridoio, della camera da letto e dello studio.
In queste circostanze, la norma di riferimento è rappresentata dall'art. 2051 c.c., che prevede unaresponsabilità presunta a carico del custode per i danni provocati dalla cosa che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.
Il fondamento della responsabilità in esame risiede nel dovere di custodia che grava sul soggetto (proprietario, usufruttuario, enfiteuta, conduttore) che, a qualsiasi titolo, ha un effettivo e non occasionale potere fisico sulla cosa e, dunque, un conseguenziale obbligo di vigilare affinché la stessa non arrechi danno a terzi.
In ambito condominiale, è il Condominio, in persona dell'amministratore in carica, a rivestire la funzione di custode dei beni e dei servizi comuni. Dunque, ai sensi dell'art. 2051 c.c.: da un lato, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché le cose comuni non rechino pregiudizio; dall'altro lato, risponde dei danni da queste cagionati a terzi o anche alle proprietà esclusive di uno o più condòmini.
In particolare, la Cassazione afferma che l'amministratore, rappresentante del Condominio, ha il dovere di sorvegliare sull'uso delle cose e dei servizi comuni. Nell'espletamento dell'incarico conferitogli dall'assemblea, ha il dovere di osservare, quale mandatario dei condòmini, la diligenza del buon padre di famiglia (art. 1710 c.c.). Ha inoltre la custodia delle parti e degli impianti comuni e, quindi, è obbligato ad adottare tutte le misure idonee ad evitare che le cose comuni arrechino pregiudizio a terzi o ai singoli condòmini (Cass. civ. n. 5326/2005).
La sentenza in commento si sofferma poi sulla ripartizione dell'onere della prova.
Ricorda il giudice napoletano che l'art. 2051 c.c. prevede una responsabilità presunta a carico del proprietario o dell'utilizzatore della cosa per il danno "cagionato" dalla stessa. Pertanto, ai fini del riconoscimento della responsabilità del custode, è necessario che il danno lamentato sia causalmente riconducibile alla cosa in custodia. In ogni caso, non è necessario che la cosa sia intrinsecamente pericolosa, ma è sufficiente, perché possa essere riscontrato il rapporto di causalità fra la cosa ed il danno. Resta inteso, ovviamente, che tanto meno la cosa è intrinsecamente pericolosa e quanto più la situazione di possibile pericolo è suscettibile di essere prevista e superata con l'adozione delle normali cautele da parte del danneggiato tanto più l'incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente dello stesso(Corte di cassazione n. 2430 del 2004).
In altri termini, nel giudizio avente ad oggetto la richiesta di risarcimento del danno provocato da una cosa in custodia il danneggiato deve dimostrare la relazione (di proprietà e di uso) intercorrente fra il convenuto e la cosa, il danno subito ed il rapporto di causalità fra la cosa e l'evento dannoso. Grava invece sul custode l'onere di fornire la prova liberatoria del caso fortuito, idonea a superare la presunzione di responsabilità prevista a suo carico, dimostrando che l'evento dannoso si è verificato per l'intervento di un fattore esterno (fatto del terzo o dello stesso danneggiato), imprevedibile, inevitabile ed eccezionale che abbia inciso, interrompendolo, sul nesso causale.
Nel caso di specie, i condòmini hanno ampiamente dimostrato il danno subito, il difetto di manutenzione della parete esterna comune e la riconducibilità al Condominio stesso dell'evento dannoso. Di contro, l'amministratore del condominio non ha fornito la prova liberatoria del caso fortuito. Per il Condominio scatta dunque la condanna a quasi 15.000 euro di risarcimento danni.
=> Quando la casa in condominio non è visibile a cause delle infiltrazioni d'acqua.

Scarica Tribunale di Napoli, del 28 gennaio 2016.


Fontehttp://www.condominioweb.com/infiltrazioni-facciata-condomoniale-chi-paga-i-danni.12441#ixzz40cWh9bex
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mercoledì 17 febbraio 2016

Per il contratto preliminare di un immobile basta anche solo una semplice sigla

Per il contratto preliminare di un immobile basta anche solo una semplice sigla


La scrittura privata sottoscritta, da una delle parti con una sigla, può essere considerata valida.
Dopo la stipula del contratto preliminaresottoscritto con una sigla, la promissaria acquirente cita in giudizio in giudizio la promittente venditrice al fine di ottenere, ex art. 2932 c.c., una sentenza costitutiva che producesse gli effetti del contratto non concluso.
A tal fine, precisava l'attrice (promissaria acquirente) di essere già stata immessa, dopo la stipula del preliminare, nel possesso dell'immobile e di aver versato già una cospicua parte del prezzo dell'immobile, e dopo aver constatato che l'invito alla stipula del rogito rivolto alla promittente venditrice non aveva sortito alcun effetto aveva deciso di intraprendere l'azione giudiziaria.
La convenuta venditrice si costituiva sostenendo la carenza di legittimazione attiva poiché la sottoscrizione del contratto preliminare non era riferibile a parte attrice (acquirente).
Il primo grado di giudizio si conclude con l'accoglimento delle richieste dell'acquirente e con iltrasferimento della proprietà dell'immobile all'attrice nonché con l'obbligo di quest'ultima di provvedere al pagamento del prezzo residuo.
La venditrice impugnava tale sentenza dinanzi alla Corte d'appello chiedendo che fosse dichiarato nullo il contratto preliminare poiché la sottoscrizione apposta in calce a tale contratto non corrispondeva all'acquirente.
La Corte d'appello rigetta l'appello e conferma la sentenza di primo grado precisando che “la decifrabilità della sottoscrizione non sarebbe requisito di validità dell'atto ove l'autore sia identificabile nelle sue generalità dal contesto dell'atto medesimo e la mancanza di leggibilità non impedisce di riferire la sottoscrizione a quel soggetto..
La promittente venditrice non si rassegna neanche a fronte di due sentenze di merito che hanno respinto la sua tesi, basata sulla nullità di un contratto preliminare sottoscritto con una semplice sigla, e ricorre in Cassazione.
La Corte di Cassazione, riportandosi ad un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, ha puntualizzato che la produzione del contratto da parte della promittente acquirente, seguita dal riconoscimento della propria sottoscrizione da parte della venditrice, comportava come effetto il fatto che “la scrittura privata facesse piena prova della provenienza delle dichiarazioni da parte dei sottoscrittori senza che ne potesse essere accertata la veridicità della sottoscrizione attraverso strumenti probatori quali la perizia grafologica…..d'altra parte non vi è alcun dubbio che la produzione della scrittura in giudizio e la corrispondenza tra la persona che ha prodotto la scrittura e la persona indicata nel corpo della scrittura, siano elementi sufficienti a rendere decifrabili i segni grafici che compongono una sottoscrizione illeggibile”.
In pratica secondo gli Ermellini nel momento in cui l'acquirente ha prodotto in giudizio il contratto preliminare, e la venditrice ha riconosciuto la sua sottoscrizione, tale circostanza ha determinato un effetto e cioè quello che la scrittura privata fa piena prova della provenienza delle dichiarazioni da parte dei sottoscrittori.
Muovendo da tale presupposto la Cassazione ha stabilito che la scrittura privata sottoscritta con una sigla deve essere considerata valida e riferibile al sottoscrittore nel momento in cui dal contesto dell'atto è desumibile il soggetto nei cui confronti si producono gli effetti giuridici della sottoscrizione.



Fontehttp://www.condominioweb.com/basta-una-sigla-per-rendere-efficace-il-contratto-preliminare.12437#ixzz40RFlnxbI
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Nessun pagamento se l'assemblea dispone la manutenzione straordinaria sui balconi di proprietà esclusiva.


Nessun pagamento se l'assemblea dispone la manutenzione straordinaria sui balconi di proprietà esclusiva.





Stop all'ingiunzione di pagamento se l'assemblea dispone la manutenzione straordinaria anche sui balconi di proprietà esclusiva senza l'autorizzazione
Va revocata l'ingiunzione di pagamento per il recupero delle spese dei lavori, se l'assemblea ha deliberato la manutenzione straordinaria anche sui balconi di proprietà esclusiva, senza chiedere l'autorizzazione al proprietario. In sede di opposizione a decreto ingiuntivo, infatti, il giudice può sempre rilevare d'ufficio la nullità della delibera a fondamento del provvedimento monitorio, laddove la validità della stessa rappresenti comunque un elemento costitutivo della domanda.
È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 305 del 12 gennaio 2016. Per la suprema Corte, il divieto di eccepire l'invalidità delle delibere condominiali in sede di opposizione a decreto ingiuntivo vale solo in caso di annullabilità. È sempre possibile invece rilevare la nullità. E nel caso di specie, è senz'altro nulla la delibera che dispone la manutenzione straordinaria anche su parti esclusive senza l'autorizzazione del proprietario.
Il caso - Il condominio otteneva decreto ingiuntivo per il recupero degli oneri dovuti in base al riparto delle spese di manutenzione straordinaria. I condòmini ingiunti si opponevano in quanto non erano stati presenti all'assemblea che aveva deliberato i lavori. Contestavano inoltre i lavori svolti, perché avevano interessato anche il balcone di loro proprietà esclusiva, senza il loro consenso.
Il giudice di pace, accertata la nullità della delibera assembleare, revocava il decreto ingiuntivo. La decisione, tuttavia, veniva ribaltata in secondo grado. Per il tribunale, infatti, i vizi della delibera non sono rilevabili in sede di opposizione al decreto ingiuntivo, perché andavano contestati entro trenta giorni, ai sensi dell'art. 1137 c.c. Contro tale decisione, i condòmini ricorrono in cassazione.
Si può contestare la validità della delibera in sede di opposizione a decreto ingiuntivo? In effetti, la decisione del Tribunale di basa sul principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite (sentenza n. 26629/2009), secondo cui nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione dei contributi condominiali, il giudice deve limitarsi a verificare la perdurante esistenza ed efficacia delle relative delibere assembleari, senza poter sindacare, in via incidentale, la loro validità, essendo queste riservata al giudice davanti al quale dette delibere sono state impugnate”.
Lo scopo di tale principio è quello di evitare che, attraverso l'opposizione all'ingiunzione di pagamento, si possa rimettere in discussione la validità di delibere già definitive, perché non impugnate entro il termine perentorio di 30 giorni previsto dall'art. 1137 c.c.
Ciò, tuttavia, è corretto con riguardo alle delibere affette da vizi di annullabilità; non lo è, invece, per le delibere nulle. I vizi che comportano la radicale nullità consentono infatti di impugnare la delibera condominiale senza limiti di tempo; allo stesso modo, il giudice può rilevare d'ufficio la nullità della delibera in ogni stato e grado del giudizio.
In altri termini, il limite al rilievo dell'invalidità in sede di opposizione a decreto ingiuntivo opera solo per le delibere annullabili. Ne consegue che il giudice ben può rilevare d'ufficio la nullità quando si controverta in ordine all'applicazione di atti (delibera d'assemblea di condominio) posti a fondamento della richiesta di decreto ingiuntivo, la cui validità rappresenta elemento costitutivo della domanda.
Tale principio trova piena applicazione nel caso di specie. Infatti, deve considerarsi nulla, e non semplicemente annullabile, la delibera che autorizza lavori di manutenzione straordinaria che coinvolgono anche parti esclusive, senza il consenso dei rispettivi proprietari. Ciò anche in base a quanto stabilito dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 4806/2005, che elenca i criteri per distinguere le delibere nulle e da quelle annullabili.
Il Tribunale non ha dunque applicato correttamente i principi in materia. La Sentenza va cassata con rinvio ad altro giudice per la decisione della controversia.




Fonte http://www.condominioweb.com/lassemblea-p%F9%F2-fermare-lngiunzione-di-pagamento-se-dispone-la-manutenzione.12439#ixzz40R7xNmNJ
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