mercoledì 25 novembre 2015

Il notaio non risponde della mancata cancellazione dell'ipoteca


Il notaio non risponde della mancata cancellazione dell'ipoteca





Se una delle parti si impegna all'estinzione del debito ed alla cancellazione dell'ipoteca gravante sull'immobile compravenduto, e l'altra parte accetta assumendo su di sé il rischio contrattuale, sul notaio non grava alcun dovere di accertamento sul successivo rispetto dell'obbligo assunto da una delle parti
Una sentenza della Corte di appello di Torino, riformando in toto la sentenza di primo grado, ha respinto la domanda di risarcimento dei danniproposta dagli acquirenti di un immobile nei confronti del notaio che aveva provveduto alla redazione del relativo atto. In particolare il professionista aveva raccolto la dichiarazione del venditore il quale dichiarava che l'immobile era gravato da ipoteca con assunzione dell'obbligo dello stesso venditore di provvedere all'estinzione del debito ed alla cancellazione della stessa. Gli acquirenti, preso atto che il venditore non aveva provveduto all'estinzione del debito ed alla cancellazione dell'ipoteca, provvedevano personalmente sostenendo le relative spese.
A fronte dell'accaduto citano in giudizio il notaiochiedendo a quest'ultimo il risarcimento dei danni subiti a causa della mancata cancellazione dell'ipoteca da parte del venditore, ritenendo che il professionista fosse il solo responsabile dell'accaduto.
Mentre in primo grado il Tribunale aveva accolto le richieste degli acquirenti e condannato il notaio al risarcimento dei danni da loro patiti, la Corte d'Appello riforma in toto pronuncia di primo grado precisando che “il notaio dato atto dell'esistenza dell'ipoteca, della dichiarazione della venditrice che il debito era stato estinto e dell'impegno del venditore di procedere a sua cura e spese alla cancellazione dell'ipoteca, ha adempiuto diligentemente alle obbligazioni professionali assunte non rientrando fra i doveri del notaio anche l'accertamento dell'estinzione, o meno, del debito”.
Gli acquirenti impugnano la sentenza della Corte d'appello e ricorrono in Cassazione. I giudici Corte di Cassazione, però, ritengono che nessuna delle argomentazioni sostenuta dai ricorrenti possa considerarsi sufficientemente valida a scardinare la ratio decidendi della sentenza impugnata.
A tal riguardo si evidenzia che la parte acquirente nel momento in cui ha stipulato l'attoaccettando la dichiarazione resa dalla parte venditrice che si era assunta l'obbligo di estinguere il debito esistente e cancellare l'ipoteca gravante sull'immobile oggetto di compravendita, aveva la possibilità di agire solo nei confronti del venditore per le conseguenze derivanti da dichiarazioni mendaci e dal mancato rispetto dell'obbligo assunto.
In tal caso, evidenzia la sentenza della Cassazione, il notaio non può ritenersi responsabile per le dichiarazioni rese da una parte ed accettata dall'altra, poiché il professionista non può intervenire sul rapporto che fra queste intercorre, così come non rientrava tra i doveri del notaio quello di procedere all'accertamento dell'effettiva estinzione del debito da parte del venditore.
La Cassazione condivide pienamente l'interpretazione della Corte di merito che aveva correttamente rilevato che il notaio avesse pienamente assoluto i suoi doveri professionali nel momento in cui aveva ricevuto la dichiarazione del venditore che si impegnava all'estinzione del debito ed alla cancellazione dell'ipoteca, e tale dichiarazione era stata accettata dagli acquirenti che hanno accettato il contenuto fattuale della stessa, e solo su di loro grava il rischio contrattuale connesso scaturente da eventuali dichiarazioni mendaci.
In buona sostanza non rientrando nei doveri del notaio l'accertamento della veridicità delle dichiarazione relativa all'estinzione del debito poiché attinente alla fase negoziale, non può trovare accoglimento la tesi degli acquirenti protesa a rivendicare la responsabilità di tale professionista.


Non spetta l'aliquota IVA ridotta se la “prima casa” ha la piscina.


Non spetta l'aliquota IVA ridotta se la “prima casa” ha la piscina.




L'esistenza di una piscina ad uso esclusivo nella “prima casa” rappresenta un elemento idoneo in astratto a configurare il carattere di lusso di un'abitazione (ai sensi del D.M. 2.8.1969 art. 4) che non consente di fruire dell'IVA agevolata all'atto dell'acquisto.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione sesta Sezione civile, con sentenza n. 21908 del 27 ottobre 2015.
Questi i fatti di causa. Una contribuente aveva acquistato un immobile destinato a prima casaall'interno di un complesso residenziale e l'Agenzia delle Entrate di Catania aveva proceduto al recupero della maggiore IVA contestando la decadenza delle agevolazioni fruite ritenendo che nella circostanza non ricorressero le condizioni. L'atto veniva impugnato innanzi al giudice di primo grado che, in relazione alle perizie giurate di tecnici allegate dalla contribuente, accoglieva il ricorso ritenendo che nel caso sottoposto al suo vaglio non ricorrevano le caratteristiche delle abitazioni di lusso (di cui agli artt. 4 e 6 del D.M. dei Lavori pubblici del 2.8.1969).
L'Agenzia delle Entrate proponeva allora appello alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia che lo rigettava con sentenza n. 127/34/13 del 12.3.2013 sul rilievo che l'immobile oggetto di acquisto con IVA agevolata non poteva essere considerato di lusso perché né la superficie e né la cubatura raggiungevano rispettivamente i limiti di 240 mq e di 2000 mc previsti dal D.M. del 1969.
L'Agenzia quindi ricorreva per Cassazione che accoglieva il ricorso ritenendo che la CTR non aveva in alcun modo dato rilievo alla circostanza sottoposta al suo vaglio che l'immobile dei contribuenti era dotato di una piscina ad uso esclusivo della superficie di 89 mq e che rappresentava un elemento <<inastratto idoneo a configurare il carattere di lusso di un'abitazione ai sensi del D.M. 2.8.1969 art. 4>>.
Pertanto, secondo i giudici di legittimità l'operazione era stata erroneamente assoggetta e fatturata ad aliquota ridotta del 4% (anziché a quella ordinaria) dalla società che aveva realizzato il complesso residenziale (anch'essa raggiunta da un avviso di accertamento dell'Agenzia competente) e, vertendosi in tema di IVA, risultava anche corretta l'emissione da parte dell'Ufficio dell'avviso della liquidazione della maggiore imposta direttamente nei confronti dell'acquirente in quanto <<l'applicazione dell'aliquota inferiore da parte del venditore dell'immobile è derivata da una dichiarazione mendace dell'acquirente, la quale istituisce – ai sensi dell'art. 1 della nota II-bis della tariffa allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 … un rapporto diretto tra l'acquirente stesso e l'Amministrazione finanziaria>>. Orientamento quest'ultimo confermato anche da altre pronunce dei giudici di legittimità (n. 26259/2010 e n. 10807/2012).
Già in un caso analogo a quello in commento i giudici di legittimità (sentenza n. 12517 del 22 maggio 2013) avevano ritenuto che la piscina posta a corredo di un immobile (nel caso specifico di oltre 260 mq) è <<incompatibile con le caratteristiche abitative asseritamente non di lusso di un'abitazione monofamiliare>>.
Invero, il caso sottoposto al vaglio dei giudici di merito siciliani non è infrequente rientrando in quelle ipotesi di contestazione da parte dell'Agenzia delle Entrate della legittimità della fruizione delle agevolazioni “prima casa” per carenza ab origine dei presupposti tra cui appunto rientra l'ipotesi dell'abitazione “di lusso”.
A differenza di quest'ultima ipotesi, solo nei casi (altrettanto meno frequenti) di mancanza sopravvenuta dei presupposti (ad esempio il mancato trasferimento della residenza nel comune ove è ubicato l'immobile <<entro diciotto mesi>> dall'acquisto) il legislatore ha espressamente previsto, quale diretta conseguenza, la decadenza dai benefici “prima casa”, legittimando l'Agenzia delle Entrate a disporre con atto motivato il recupero soltanto della differenza, aumentata degli interessi, tra l'importo della tassazione dovuta in via ordinaria e quello agevolato ma non anche l'applicazione di sanzioni (come chiarito a suo tempo nella Circolare n. 69/E del 14 agosto 2002) come nel caso di dichiarazioni mendaci in conseguenza delle quali si dovrebbe più correttamente parlare di “revoca” delle agevolazioni da parte dell'Ufficio finanziario.
Corte di Cassazione sesta Sezione civile, n. 21908 del 27 ottobre 2015

Fonte : http://www.condominioweb.com/la-prima-casa-ha-la-piscina-non-spetta-liva.12242#ixzz3sWM4FZDG


Registrazione del regolamento di condominio presso l'agenzia delle entrate


Registrazione del regolamento di condominio presso l'agenzia delle entrate





Nel condominio in cui vivo, siamo dieci proprietari pur non essendo obbligatorio abbiamo deciso di adottare un regolamento condominiale.
Il regolamento l'abbiamo redatto noi prendendo spunti da modelli e formule reperite in rete e con qualche suggerimento dell'amministratore; adesso dobbiamo formalizzarne l'adozione. Si tratterà di un regolamento assembleare in quanto due condòmini si disinteressano della gestione dell'edificio (uno dei motivi per il quale abbiamo deciso di dotarcene).


Detto questo ci domandiamo: una volta deliberata l'adozione del regolamento condominiale, questo è soggetto ad imposta di registro, cioè dobbiamo portarlo presso l'agenzia delle entrate e pagare la relativa imposta?
La domanda del nostro lettore trova risposta nel d.p.r. n. 131/86; a ben vedere il testo normativo appena citato non specifica esattamente alcunché in merito al regolamento condominiale, quindi la risposta che forniremo altra non sarà che una deduzione concernete la natura di quest'atto.
Del regolamento condominiale s'è sempre detto che “si configura, in relazione alla sua specifica funzione di costituire una sorta di statuto della collettività condominiale, come atto volto ad incidere con un complesso di norme giuridicamente vincolanti per tutti i componenti di detta collettività, su un rapporto plurisoggettivo concettualmente unico ed a porsi come fonte di obblighi e diritti non tanto per la collettività come tale, quanto, soprattutto, per i singoli condomini” (Cass. 29 novembre 1995 n. 12342).
Chiaramente se il regolamento ha natura contrattuale esso dovrà essere considerato alla stregua di un contratto.
In questo contesto, quindi, è utile ricordare che gli atti possono essere sottoposti a registrazione:
a) in termine fisso, ossia per il sol fatto di esistere;
b) in caso d'uso.
L'art. 6 del d.p.r. n. 131/86 specifica che “si ha caso d'uso quando un atto si deposita, per essere acquisito agli atti, presso le cancellerie giudiziarie nell'esplicazione di attività amministrative o presso le amministrazioni dello Stato o degli enti pubblici territoriali e i rispettivi organi di controllo, salvo che il deposito avvenga ai fini dell'adempimento di un'obbligazione delle suddette amministrazioni, enti o organi ovvero sia obbligatorio per legge o regolamento”.
In questo contesto, l'art. 22 del d.p.r. in esame specifica che l'enunciazione in provvedimenti dell'Autorità Giudiziaria di atti soggetti a registrazione in termine fisso ed in caso d'uso comportano il pagamento di imposta anche in relazione a questi atti. Nel caso di omessa registrazione di atti soggetti a registrazione in termine fisso, oltre all'imposta per la loro enunciazione si applica anche la sanzione.
Torniamo al regolamento condominiale: esso sia di natura contrattuale che assembleare è soggetto a registrazione solamente in caso d'uso allorquando non contenga prestazione a contenuto patrimoniale, mentre il regolamento contrattuale è soggetto a registrazione in termine fisso allorquando costituisca diritti reali di godimento o comunque contenga atti di natura dichiarativa.
L'enunciazione di un regolamento condominiale in atto dell'autorità giudiziaria potrebbe comportare (il condizionale è d'obbligo poiché non sono note le prassi operanti presso le agenzie delle entrate territorialmente competenti):
a) nel caso di registrazione in caso d'uso l'applicazione dell'imposta per l'enunciazione dell'atto;
b) nel caso di registrazione in termine fisso l'applicazione dell'imposta per l'enunciazione dell'atto e l'applicazione della sanzione se l'atto non è stato registrato.


lunedì 16 novembre 2015

Il condomino “sporcaccione” o “prepotente” rischia la condanna penale e l'azione civile per il risarcimento dei danni.

Il condomino “sporcaccione” o “prepotente” rischia la condanna penale e l'azione civile per il risarcimento dei danni.


Si sa la vita in condominio spesso è complicata, ma vi sono comportamenti intollerabili che sfociano nella vera e propria maleducazione e che possono assumere rilevanza sia da un punto di vista penalistico che civilistico.
Ci riferiamo, in particolare, al lancio di oggetti dal balconescuotere tovaglie oltre allo stillicidio dell'acqua, magari a seguito dell'innaffiamento delle piante, che reca pregiudizio agli occupanti del piano sottostante ovvero a pedoni o a chi si trovasse a transitare nel cortile condominiale. Rilevanti sotto questo aspetto risultano anche le molestie alle persone, l'imbrattare ovvero provocare immissioni sonore oltre i limiti consentiti.
A tal proposito, il nostro codice penale, all'art. 674, prevede che: “Chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con l'arresto fino a un mese o con l'ammenda fino a duecento sei euro”.
Ultimamente la Suprema Corte si è trovata ad affrontare una questione simile che, appunto, ha riguardato il lancio di oggetti dal balcone.
Il Tribunale di Pescara condannava, ai sensi dell'art. 674 c.p., alla pena di Euro 206,00 di ammenda, un condomino per avere ripetutamente gettato, all'interno del giardino oggetti atti ad offendere, imbrattare e, comunque, molestare un altro condomino.
Dalla dichiarazione della persona offesa - testimone, infatti, era emerso che il condomino imputato aveva lanciato una bottiglia dal balcone e che, subito dopo, erano caduti ulteriori oggetti.
La medesima persona offesa aveva altresì prodotto documentazione fotografica dalla quale risultava che il suo giardino era stato oggetto di ripetuti “lanci” di vari oggetti e che, in ragione di ciò, era diventato un ricettacolo di rifiuti.
Pertanto, il condomino andava condannato alla pena sopra detta.
Il condomino giudicato colpevole in primo grado non ci stava e ricorreva alla Suprema Corte di Cassazione, per vedere cassata e riformata la sentenza di condanna.
La Corte di Cassazione, III sezione penale, con sentenza n. 44458, depositata in data4/11/2015, riteneva il ricorso infondato e, pertanto, condannava il ricorrente al pagamento delle spese processuali, ivi comprese quelle sostenute dalla costituita parte civile.
In motivazione il Supremo Collegio evidenziava come dovevano ritenersi fondate le dichiarazioni della parte offesa, teste nell'anzidetto procedimento penale, siccome corroborate dalla documentazione fotografica versata in atti.
Richiama poi il proprio precedente per cui: “La contravvenzione punita dall'art. 674 cod. pen. tutela l'incolumità pubblica, più precisamente l'interesse di prevenire pericoli più o meno gravi alle persone, dipendenti dal getto o versamento di cose atte ad offendere, molestare o imbrattare e dalla emissione di gas, vapori o fumi atti a cagionare tali effetti” (Cass. pen. Sez. I, 13/03/1986, n. 9458).
Ciò posto sostiene la Corte: “Configurando la fattispecie un reato di pericolo, per integrare il quale è sufficiente che la cosa gettata o versata o l'emissione di gas, vapori o fumi sia idonea a produrre almeno uno degli effetti previsti, non essendo necessario provare che tali effetti si siano effettivamente verificati” (Cass. pen. Sez. III,4/11/2015).
In altri termini, affinché si possa ritenere configurata la fattispecie penale in questione, non risulta necessario il verificarsi dell'evento dannoso, risultando sufficiente invece la mera potenzialità offensiva della condotta, come comunemente avviene nei cd. reati di pericolo.
Parimenti, è stato ritenuto che: “In tema di getto pericoloso di cose, la contravvenzione prevista dall'art. 674 cod. pen. è configurabile anche nel caso di emissioni moleste "olfattive" che superino il limite della normale tollerabilità ex art.844 cod. civ. (Fattispecie in cui è stata ritenuta penalmente rilevante la condotta dell'imputato che, non provvedendo ad adeguata pulizia dei recinti in cui custodiva i propri cani e del cortile circostante, mantenendovi a lungo le deiezioni degli animali, aveva provocato esalazioni maleodoranti in grado di arrecare molestie ai condomini confinanti)” (Cass. pen. Sez. III, 03/07/2014, n. 45230).
Anche il disturbo al riposo dei vicini, da parte del proprietario che non impedisce agli animali di latrare comporta la condanna ex art. 674 c.p., qualora venga superata la normale tollerabilità (Cfr.: Cass. pen. Sez. III, 03/07/2014, n. 45230), così come la condotta del condomino che,innaffiando i fiori del proprio appartamento, getta acqua mista a terriccio nell'appartamento sottostante imbrattandone il davanzale, i vetri ed altre suppellettili, provocando altresì la caduta di un pezzo di intonaco all'interno dell'appartamento sottostante (Cfr.: Cass. pen. Sez. III, 21/03/2014, n. 15956).
Allo stesso modo, anche il mancato rispetto dell'ordine imposto dal giudice civile, può comportare la violazione dell'art. 388 c.p. (Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice), per il quale “Chiunque, per sottrarsi all'adempimento degli obblighi nascenti da un provvedimento dell'autorità giudiziaria, o dei quali è in corso l'accertamento dinanzi all'autorità giudiziaria stessa, compie, sui propri o sugli altrui beni, atti simulati o fraudolenti, o commette allo stesso scopo altri fatti fraudolenti, è punito, qualora non ottemperi all'ingiunzione di eseguire il provvedimento, con la reclusione fino a tre anni o con la multa da euro 103 a euro 1.032”.
Da ultimo, infatti, la Suprema Corte, VI sezione penale, con sentenza n. 44772, del9/11/2015, ha sostanzialmente confermato la condanna dell'imputato che, nonostante l'ordinanza del giudice civile, resa al termine di un giudizio possessorio afferenti le parti comuni di un edificio, ha continuato ad occupare gli spazi comuni parcheggiandovi le autovetture di cui aveva la disponibilità per l'esercizio della propria attività commerciale, impedendo così il pari uso in favore del compossessore, riconoscendo nella fattispecie concreta la violazione dell'art. 388 c.p.
Se le condotte sopra descritte provocano vieppiù danni a cose o persone, da dimostrarsi secondo le comuni regole in materia di onere probatorio, l'autore è tenuto altresì al relativo risarcimento nei confronti del danneggiato, il quale potrà esercitare l'azione civile nell'ambito dell'eventuale procedimento penale, con la costituzione di parte civile ovvero adire direttamente la magistratura civile, per chiedere, ai sensi dell'art. 2043 c.c. (“Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”), il ristoro di tutti i danni subiti.


STUDIO LEGALE AVV. PAOLO ACCOTI
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Il preliminare di compravendita di un immobile da costruire è nullo se manca la concessione edilizia


Il preliminare di compravendita di un immobile da costruire è nullo se manca la concessione edilizia





Nel caso di vendita di immobili da costruire, realizzati dopo l'entrata in vigore della legge n. 47 del 1985, il contratto preliminare che non fa riferimento alla concessione edilizia del bene oggetto di trasferimento deve essere considerato nullo.
Tizio, promissario acquirente di un immobile da costruire , dopo la stipula di un contratto preliminare cita in giudizio la società di costruzioni venditrice chiedendo una sentenza costitutiva ex art. 2932 del codice civile che imponesse il trasferimento dell'immobile promessogli in vendita. In primo grado il Tribunale accoglieva le sue richieste e disponeva il trasferimento dell'immobile acquistato dalla società.
La società di costruzioni, invece, impugnava tale sentenza ritenendo che, trattandosi di immobile realizzato dopo l'avvento della legge n. 47/1985, trovava applicazione quanto disposto dall'art. 17 che sancisce la nullità degli atti tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento ove tali atti non facciano alcun riferimento alla concessione edilizia o alla concessione in sanatoria. Il giudice di secondo grado accoglieva l'appello riformando la decisione di prime cure.
Non convinto di tale interpretazione il promissario acquirente dell'immobile ricorre in Cassazione. Fra i motivi posti a fondamento del suo ricorso l'acquirente dell'immobile deduce la nullità della sentenza di primo grado per presunta violazione del diritto di difesa dato che la Corte d'appello, rilevando ex officio la violazione dell'art. 17 della legge n. 47/1985, non aveva provocato il contradditorio tra le parti determinando, in tal modo, la nullità della sentenza. => Legittimo il recesso dal preliminare se manca il certificato di abitabilità.
La Corte di Cassazione, invece, attraverso la decisione in commento ritiene infondato tale motivo precisando che “in tema di esecuzione specifica di concludere un contratto di compravendita di un immobile, il difetto di concessione edilizia o in sanatoria è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio…” pertanto, avendo la corte d'appello in secondo grado constatato l'assenza di concessione edilizia relativa all'immobile trasferito con contratto preliminare, non può ravvisarsi alcuna violazione del contradditorio." ( Cass. Sez. Un., 23825/2009)
Per quanto riguarda, invece, l'impossibilità di trasferire un immobile da costruire privo di concessione edilizia, la Cassazione precisa che tale immobile non può essere trasferito con sentenza costitutiva del giudice ex art. 2932 del codice civile, se il promittente venditore non produce un congruo titolo edilizio: ritenendo che in questi casi trovi applicazione quanto sancito dal primo comma dell'art. 17 della legge n. 47/1985 che dispone la nullità degli atti di trasferimento tra vivi, in forma pubblica o privata, dai quali non risulti l'esistenza di concessione edilizia o in sanatoria.
Corte di Cassazione del 22.10.2015 n. 21527



venerdì 13 novembre 2015

Imu e Tasi, via le imposte sulla casa

Imu e Tasi, via le imposte sulla casa

 in “MutuiOnline informa
abolizione imu e tasi
Tra le novità previste dalla legge di Stabilità 2016 varata dal Governo, una delle più attese riguarda l’abolizione di Tasi(Tassa sui servizi indivisibili) e Imu (Imposta municipale) sull’abitazione principale.
Ben prima dell'approvazione del Consiglio dei Ministri, la manovra aveva alimentato una serie di dubbi circa la sua sostenibilità e l’eventuale rischio che le mancate entrate fossero compensate dalla tassazione di altri beni, come ad esempio l’aumento delle accise sul carburante. Al momento il pericolo sembra non esserci, visto che il premier Matteo Renzi ha specificato che non ci saranno maggiorazioni di altre imposte.
La tassa sulla prima casa sarà abolita per tutti i contribuenti, anche per l’inquilino che detiene un immobile come abitazione principale,ma non riguarderà case e ville di lusso. Vengono esentati dall’Imu anche tutti i terreni agricoli, a beneficio di coltivatori diretti, imprenditori agricoli e società. Scomparirà, inoltre, l’imposta sui cosiddetti imbullonati, vale a dire i macchinari delle imprese che attualmente rientrano nei calcoli della rendita catastale.
Se la manovra riceverà l’ok da parte dell’Unione Europea, 19 milioni di famiglie italiane beneficeranno di un risparmio medio sulla Tasi di 204 euro: la stima è stata effettuata dall’Ufficio studi della CGIA di Mestre che ha basato i propri calcoli sulla classificazione catastale. Secondo l’associazione, per i possessori delle abitazioni di categoria A2 e A3 il risparmio si aggirerà rispettivamente attorno ai 227 e 120 euro all’anno.
La stessa Confartigianato ha stabilito che i possessori di un’immobile con reddito fino a 10 mila euro otterranno un privilegio di 152 euro, che inciderà di circa il 3% sui proventi netti del contribuente. Salendo a una fascia di reddito da 10 a 28 mila euro o che si aggira sui 100 mila euro, il taglio sarà rispettivamente di 161 e 362 euro: nel primo caso influisce sul reddito disponibile di circa l’1%, mentre nel secondo scende allo 0,58%.
I Comuni saranno interamente compensati dallo Stato per la perdita di gettito conseguente alle esenzioni. L’azzeramento della Tasi sulla prima casa ammonterà a circa 3,7 miliardi di euro. A questo importo si deve aggiungere l’abolizione dell’Imu sui fabbricati rurali (3,2 milioni di euro), terreni agricoli (897 milioni circa) e imbullonati (250 milioni), per una cifra totale sulla detassazione degli immobili che dovrebbe superare abbondantemente i 4,5 miliardi di euro.
La legge di Stabilità 2016 contiene anche il rinnovo del bonus Irpef del 50% sulle ristrutturazioni edilizie e del 65% sugli interventi di miglioramento energetico, incluse le spese per antisismica e le schermature solari. La formula è la stessa di quella applicata lo scorso anno: il tetto di spesa su cui quantificare la detrazione rimane di 96 mila euro, rimborsabili in dieci annualità.
Nessuna misura specifica invece sulla detassazione degli affitti come chiesto da Confedilizia. Delusione da parte del presidente della stessa associazione, Giorgio Spaziani Testa: “riservando allalocazione poche decine di milioni di euro si potrebbe dare vita a un circolo virtuoso fatto di maggiore mobilità delle forze del lavoro, di aumento della fiducia nei risparmiatori dell’immobiliare, di attivazione di interventi di recupero edilizio, di soluzione di problemi abitativi soprattutto per le giovani coppie”.


FONTE : MUTUIONLINE.IT
A cura di 

Cortile condominiale, chi paga le spese di manutenzione?

Cortile condominiale, chi paga le spese di manutenzione?

di Paola Mammarella

Se il cortile funge da copertura di locali interrati e i proprietari sono diversi, paga solo chi lo utilizza 

13/11/2015 – Quando il cortile ha anche la funzione di copertura, le spese per la sua manutenzione competono a chi lo utilizza come passaggio e non vanno condivise con i proprietari dei locali sottostanti. Lo ha chiarito il Tribunale Ordinario di Roma con la sentenza 1/2015.
 
Secondo i giudici, il riferimento normativo da prendere in considerazione è l’articolo 1125 del Codice Civile, che regola la manutenzione e ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai.
 
In base a questa norma, le spese per la manutenzione sono sostenute in parti eguali dai proprietari dei due piani l'uno all'altro sovrastanti. Sono quindi a carico del proprietario del piano superiore gli interventi sulla copertura delpavimento e a carico del proprietario del piano inferiore l'intonaco, la tinta e la decorazione del soffitto.
 
Nel caso preso in esame, un cortile condominiale, di proprietà comune, fungeva anche da solaio per una serie di locali interrati appartenenti ad un altro proprietario. Se anche i locali interrati fossero stati condominiali, hanno spiegato i giudici, il problema non si sarebbe posto perché tutte le spese sarebbero state ripartite in base alle quote millesimali.
 
Dato che i proprietari del cortile e quelli del solaio erano diversi, il Tribunale ha stabilito che i costi del rifacimento della superficie del cortile dovessero essere ripartiti tra coloro che lo utilizzavano e che quindi, con il loro passaggio, contribuivano all’usura.
 
Allo stesso modo i giudici hanno spiegato che i proprietari del cortile non sarebbero stati chiamati in causa nel caso in cui ad avere bisogno di manutenzione fosse stato il soffitto dei locali interrati.
fonte : edilportale.com

Cooperative edilizie, esenti dall’Imu gli immobili non ancora assegnati ai soci


Cooperative edilizie, esenti dall’Imu gli immobili non ancora assegnati ai soci

di Paola Mammarella

Mef: piena equiparazione alle imprese di costruzione anche per la Tasi, che può essere diminuita o azzerata dai Comuni 


13/11/2015 – Le cooperative edilizie, come le imprese di costruzione, sono esenti dall’Imu sugli immobili rimasti “in magazzino” e sono sottoposte alle stesse regole per quanto riguarda la Tasi. Lo ha chiarito la risoluzione 9/DFdel Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef).

Imu e immobili invenduti

Il Mef ha spiegato che la Legge 124/2013 ha disposto, a partire dal 2014, l’esenzione dall’Imu dei fabbricati costruiti e destinati dall'impresa costruttrice alla vendita fintanto che permanga tale destinazione e non siano locati. Si tratta degli immobili invenduti, su cui le imprese di costruzione non devono più pagare queste tasse.

Imu per cooperative edilizie e società di costruzione
Secondo il Mef, le cooperative edilizie che assegnano in proprietà gli alloggi ai propri soci possono essere equiparate alle imprese costruttrici. Sull’argomento si era già espressa l’Agenzia delle Entrate, che con lacircolare 182/E/1996 ha spiegato che “nella categoria delle imprese costruttrici rientrano a pieno titolo le cooperative edilizie che costruiscono, anche avvalendosi di imprese appaltatrici, alloggi da assegnare ai propri soci”.

L’equiparazione tra cooperative edilizie e imprese di costruzione è stata più volte ribadita da successivi documenti dell’Agenzia delle Entrate anche dal punto di vista fiscale. Cooperative e imprese pagano infatti le stesse impostesulla cessione delle abitazioni.

Come sottolineato dal Mef, dai documenti amministrativi e dalle pronunce della giurisprudenza emerge che le assegnazioni degli alloggi operate dalle cooperative sono uguali alle cessioni effettuate dalle imprese perché in entrambi i casi si realizza un trasferimento della proprietà a titolo oneroso. Come il normale acquirente di un immobile, inoltre, anche il socio di una cooperativa edilizia perde i benefici fiscali se rivende il suo alloggio entro cinque anni dal rogito.

Sulla base di queste considerazioni, il Mef ha quindi stabilito che le cooperative edilizie non devono pagare l’Imu sugli immobili non ancora assegnati ai soci.

Tasi per cooperative edilizie e società di costruzione

Le stesse considerazioni, si legge nella risoluzione, valgono anche per la Tassa sui servizi indivisibili (Tasi). Questo significa che saranno i Comuni a decidere se diminuire le aliquote, fino ad azzerarle, o lasciarle inalterate.

Un intervento in tal senso è contenuto anche nel disegno di Legge di Stabilità per il 2016. Nel testo si legge infatti che per i fabbricati costruiti e destinati alla vendita dall’impresa costruttrice, fino a che non siano venduti o locati, l’aliquota della Tasi può essere ridotta allo 0,1% e che i Comuni possono modificarla in aumento fino allo 0,25% o in diminuzione fino adazzerarla.

Ricordiamo che Imu e Tasi sono due componenti della Iuc, Imposta unica comunale. Oltre a queste due voci, la Iuc comprende la Tari, Tributo per la raccolta dei rifiuti.
fonte : edilportale.com

Ecco cosa accade nel caso in cui un condomino “forza” il solaio


Ecco cosa accade nel caso in cui un condomino “forza” il solaio





Una singolare vicenda giudiziaria durata quasi un trentennio giunge all'esame della Corte di Cassazione che si pronuncia in tema di uso più intenso della cosa comune ex art. 1102 del codice civile escludendolo e condannando un condominio che, sfruttando un ripostiglio e forzando un botola originariamente prevista per garantire lo sfogo del suo appartamentoal terrazzo condominiale, tenta di creare un collegamento con l'appartamento al piano inferiore di sua proprietà e finalizza tale opera al solo fine di garantirsi l'accesso allo stabile dall'entrata principale.
In uno stabile condominiale composto da due edifici con due accessi: uno che sfocia su una strada secondaria di un centro storico e l'altro situato su una strada principale, un condòmino sfruttando un piccolo ripostiglio ed una botola originariamente prevista per consentire lo sbocco al terrazzo, tenta di collegare l'immobile all'ultimo piano con l'appartamento al piano immediatamente inferiore.
Nel compimento di tale operazione il condòmino persegue una sola finalità: ossia quella di garantirsil'accesso ai due immobili di sua proprietàutilizzando la scala che si affaccia sulla strada principale, e giustifica il suo operato sostenendo che la botola forzata in origine era stata prevista al solo fine di collegare i due appartamenti. Il condominio non condividendo tale situazione e considerando l'illegittimità dell'operato del condòmino intraprendente;: cita in giudizio quest'ultimo chiedendo il ripristino dello stato dei luoghi ed il risarcimento dei danni considerato che l'accesso del condòmino dalla scala principale avrebbe comportato per quest'ultimo il godimento di una serie di servizi a scapito degli altri condòmini.
Prima di approdare al giudizio in Cassazione conclusosi con la sentenza in commento, la vicenda è stata già cassata con rinvio da precedenti pronunce, ma solo attraverso la decisione sopra menzionata è stata posta la parola fine alla questione che ruota intorno al seguente quesito ossia se l'opera realizzata dal condòmino possa considerarsi legittima poiché realizza semplicemente un uso più intenso della cosa comune ( solaio) in ragione della facoltà riconosciuta dall'art. 1102 del codice civile a ciascun partecipante alla comunione.
I giudice della seconda sezione civile della Corte di Cassazione non condividono tale impostazione e ritengono che, nel caso di specie, il condòmino che ha realizzato le opere in commento approfittando di un collegamento preesistente fra un ripostiglio di scarso valore e l'appartamento sottostante deve essere condannato al ripristino dell'integrità del solaio ed al risarcimento del danno. => Ecco perchè scale, pianerottoli e corridoi sono parti comuni
In pratica, quindi, il solaio non può essere utilizzato da uno dei condòmini per assicurarsi, dopo aver collegato il suo appartamento con quello del piano sottostante sempre di sua proprietà,la possibilità di utilizzare l'ingresso principale dello stabile.
Non vi è alcun dubbio per gli ermellini che l'opera realizzata dal condòmino deve essere considerata illegittima poiché non integra l'ipotesi di maggior uso della cosa comune, dato che il collegamento dei due immobili attraverso la forzature di una botola prevista per garantire l'accesso al solaio dell'appartamento all'ultimo piano, determina esclusivamente un aggravio di spesa per i condòmini della scala avente accesso dall'ingresso principale che si oppongono al fine di evitare che il condòmino che ha realizzato tale collegamento possa godere illegittimamente di una serie servizi ( ossia la possibilità di accedere ai suoi appartamenti utilizzando l'ingresso principale dello stabile, etc).
Giungendo a tale conclusione, quindi, la Cassazione precisa che la botola in questione era stata prevista in origine solo per garantire l'accesso al solaio dell'appartamento all'ultimo piano e la stessa non poteva essere utilizzata per altri fini: e cioè quello di permettere il collegamento fra l'appartamento all'ultimo piano e l'appartamento al piano immediatamente inferiore.
Per tale ragione, quindi, il condòmino intraprendente è stato condannato al ripristino dello stato dei luoghi ed ad un risarcimento simbolico dei danni sopportati dai condòmini della scala dell'edificio al quale si accede dall'ingresso collocato sulla strada principale.



Infiltrazioni, la responsabilità è del proprietario della struttura che li ha causati o del condominio?


Infiltrazioni, la responsabilità è del proprietario della struttura che li ha causati o del condominio?





Non si può escludere la responsabilità del condominio per le infiltrazioni d'acqua nei locali sottostanti se i sistemi di smaltimento dei reflui restano comunque riferibili all'ente di gestione.
Per gli Ermellini va annullata con rinvio per contraddittorietà della motivazione la sentenza di merito emessa all'esito della controversia originata da infiltrazioni d'acqua che hanno riguardato i locali sottostanti a uno spazio privato, nel quale tuttavia i sistemi di smaltimento dell'acqua sono condominiali. La sentenza, infatti, pur riconoscendo la condominialità di tali sistemi e identificando il nesso di causalità tra la loro scarsa manutenzione e l'allegamento dei locali, non ha chiaramente escluso, né espressamente ammesso la responsabilità anche del condominio.
Il caso – Due società proprietarie di altrettanti magazzini posti al seminterrato del condominio proponevano ricorso urgente, affermando di aver subito danni da infiltrazioni d'acqua originate da un “distacco” (vale a dire, un passaggio) di circa tre metri tra la facciata del fabbricato ed il muro di contenimento a ridosso di una collina. Secondo i ricorrenti, la causa di tale infiltrazione era da addebitarsi alla scarsa manutenzione delle caditoie dell'acqua poste su tale “distacco”, che spettava, sempre a detta dei ricorrenti, alla società proprietaria dei locali sovrastanti dei magazzini, oltre che al locatore dei locali stessi. Inoltre, vi sarebbe anche la responsabilità del Condominio per omessa custodia e manutenzione degli scarichi.
Dopo la concessione del provvedimento cautelare, nei successivi due gradi di merito il proprietario e il locatore dei locali sovrastanti venivano condannati al pagamento dei danni. Niente condanna invece per il condominio. Secondo il giudice, infatti, “pur essendo certa la proprietà condominiale della canditoia e della cunetta di scolo (da cui provenivano le infiltrazioni), tuttavia non vi sarebbe stata prova sufficiente che il lamentato intasamento sussistesse al momento delle infiltrazioni, essendosi presentati i predetti manufatti in accettabili condizioni in sede di primo accesso da parte del CTU”.
È questo il passaggio della sentenza che non ha convinto la suprema Corte.
Il punto è che se il “corridoio” resta privato, sono invece condominiali il tombino e i condotti dell'acqua piovana. Sbaglia dunque la Corte d'appello nella parte in cui, da un lato, ammette che i sistemi di smaltimento delle acque sono condominiali e sussiste un nesso causale fra la loro scarsa manutenzione e l'allagamento dei locali; dall'altro non riconosce né esclude in modo esplicito la responsabilità del condominio, evitando di chiarire se gli obblighi di custodia costituiti in capo al proprietario-locatore e al conduttore dell'immobile debbano o no ritenersi estesi alla manutenzione delle caditoie e delle condotte di smaltimento dell'acqua pluviale. => Stangoni, montanti della ringhiera di parapetto e infiltrazioni, chi paga l'intervento manutentivo?
Nello specifico, la Cassazione si chiede “se la responsabilità del proprietario e del locatore – in quanto custodi dello spazio ove tali sistemi (di smaltimento delle acque) sono collocati – possa coesistere con quella del Condominio, vale a dire se gli oneri di custodia del proprietario (o del conduttore) si debbano estendere alla manutenzione degli impianti (caditoie e condotte di smaltimento delle acque) condominiali o se detta condominialità esoneri il proprietario da tale ulteriore onere di custodia”.
Tale problematica – continua la Corte – non è stata sufficientemente indagata dalla Corte d'Appello che, sul punto, pur riconoscendo la condominialità di tali sistemi e pur identificando il nesso di causalità tra la loro scarsa manutenzione e l'allagamento dei locali delle parti intimate, non a chiaramente escluso – in ragione del valore assorbente della proprietà del lastrico ove detti sistemi erano collocati – né espressamente ammesso – in virtù della separata valutazione del lastrico e dei sistemi in esso praticati – la responsabilità anche del Condomino”.
Va aggiunto, peraltro, che proprio l'occlusione delle condotte in questione fece scattare la misura cautelare di ripristino dei luoghi: non conta, quindi, che successivamente il CTU abbia trovato le caditoie in un discreto stato di manutenzione. La parola torna ai giudici d'appello.




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