giovedì 30 luglio 2015

Mutui, approfittate della Bce dalla manica larga Secondo Crif e MutuiSupermarket.it, la media dei migliori spread per mutuo a tasso variabile e fisso è scesa rispettivamente da 1,8% e 1,9% nel primo trimestre a 1,7% e un 1,3% nel secondo

Mutui, approfittate della Bce dalla manica larga

Secondo Crif e MutuiSupermarket.it, la media dei migliori spread per mutuo a tasso variabile e fisso è scesa rispettivamente da 1,8% e 1,9% nel primo trimestre a 1,7% e un 1,3% nel secondo


a cura di Redazione

30 luglio 2015
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SPREAD IN CALO - Il calo degli spread sui mutui fa ripartire le erogazioni. Secondo l’ultima Bussola Mutui, il bollettino trimestrale firmato Crif e MutuiSupermarket.it, la media dei migliori spread per un mutuo a tasso variabile e fisso è scesa rispettivamente da 1,8% e 1,9% nel primo trimestre 2015 a 1,7% e un 1,3% nel secondo trimestre 2015. Se paragoniamo i migliori spread del secondo trimestre 2015 con i migliori del secondo trimestre 2014, il taglio che emerge è addirittura pari a -30% per quanto riguarda i tassi variabili e -47% per i tassi fissi.

EFFETTO QE - D’altro canto, segnala Crif, va segnalato l’effetto Bce: l’iniezione nel sistema bancario europeo di ingenti masse liquide assieme a ridotti rendimenti su investimenti alternativi agli impieghi in finanziamenti per la casa continuano a spingere gli istituti di credito verso il rilancio commerciale del prodotto mutuo, proponendo spread e condizioni economiche sempre più ridotte e attraenti per i nuovi potenziali clienti.

COMPRAVENDITE ANCORA AL PALO - Le nuove compravendite immobiliari tuttavia, non sembrano ancora beneficiare in maniera così diretta del “taglio prezzi” registrato in ambito mutui. I dati dell’Agenzia delle Entrate relativi al primo trimestre 2015 registrano infatti una ulteriore flessione del numero delle compravendite residenziali pari al -3%, dopo due trimestri, il terzo e il quarto del 2014, che avevano segnato una ripresa delle nuove transazioni, pari rispettivamente al +4,2% e +7,1%. In diretta correlazione, l’andamento dei prezzi degli immobili residenziali nel secondo trimestre 2015 che segna una nuova sensibile riduzione, pari al -2,5% dopo aver registrato un -1,9% nel primo trimestre 2015.

CAUTELA - Permane inoltre il forte atteggiamento di cautela da parte dei nuovi mutuatari e a dimostrarlo sono gli importi medi richiesti dei nuovi mutui: se a inizio 2010 l’importo medio era di poco superiore ai 140.000 euro, nel secondo trimestre 2015 - nonostante i tassi di offerta ridotti e la nuova apertura al credito casa da parte del sistema bancario – l’importo medio raggiunge il nuovo minimo dei 122.298 euro. Ritorna quindi l’interesse sul mercato, con la domanda di nuovi mutui che segna un +59% sul primo semestre 2015, ma i consumatori continuano a muoversi con estrema cautela, dopo anni di preoccupazioni circa le proprie prospettive economiche e reddituali.

COMMENTO - “Il mercato dei mutui sembra essersi avviato su un sentiero di solido recupero dei volumi pre-crisi. A conferma il +59% delle domande di nuovi mutui registrato sui primi 6 mesi del 2015 e il +35% dei nuovi flussi di mutui residenziali registrato da Banca d’Italia sui primi 3 mesi del 2015. Il clima finanziario rimane positivo, con Istituti di credito che hanno ridotto in maniera significativa i propri spread di offerta sui nuovi mutui nel corso della prima metà dell’anno e che iniziano già a ipotizzare nuovi round di taglio spread sul prossimo autunno 2015”, ha commentatoStefano Rossini, amministratore e fondatore di MutuiSupermarket.it.
FONTE : SOLDIWEB

Dopo la riforma del condominio si può ancora parlare di mala gestio dell'amministratore?

Dopo la riforma del condominio si può ancora parlare di mala gestio dell'amministratore?

L'amministratore di condominio, per come desumibile anche dal novellato art. 1130 c.c., è l'organo di gestione e di rappresentanza del condominio.
Lo stesso, in virtù di apposito contratto, si obbliga a compiere uno o più atti giuridici nell'interesse di un altro soggetto, pertanto, la sua figura è riconducibile a quella del mandatario con rappresentanza e ciò anche in virtù dell'esplicito richiamo dell'art. 1129 c.c. il quale, tra l'altro, prevede che per tutto quanto non espressamente disciplinato, all'amministratore di condominio si applicano le norme sul mandato (artt. 1703-1741).
Nel caso di specie, quindi, l'amministratore di condominio assumerà le vesti del mandatario e agirà nell'interesse di altri soggetti, i condomini, che tecnicamente risultano essere i mandanti.
Inquadrata giuridicamente la figura dell'amministratore di condominio, evidenziamo subito come, con la legge 220/2012 di riforma del condominio, il legislatore abbia voluto disciplinare in maniera più puntuale - facendo tesoro per lo più dei precedenti giurisprudenziali in materia - i casi di revoca dell'amministratore, enucleando vieppiù le ipotesi di gravi irregolarità che possono portare alla revoca dello stesso.
Infatti, il nuovo art. 1129 c.c., all'undicesimo comma, delinea i casi in cui l'amministratore può essere revocato.
In primo luogo può essere revocato, ed è l'ipotesi che definiremmo non contenziosa, per volontà dell'assemblea, in qualsiasi momento e con le maggioranze previste per la sua nomina. In altri termini: quando viene meno l'apprezzamento da parte dei condòmini.
Quelle successive risultano invece ipotesi giudiziali, in quanto prevedono l'intervento dell'autorità giudiziaria, tant'è vero che, è previsto il ricorso al Tribunale da parte di ciascun condomino, allorquando l'amministratore non comunica all'assemblea i provvedimenti dell'autorità amministrativa o citazioni che esulano dalle sue attribuzioni (art. 1131 c.c.) ovvero in caso di omessa rendicontazione o gravi irregolarità.
Inoltre, sempre per il tramite dell'autorità giudiziaria, su ricorso di ciascun condomino, ma solo dopo convocazione dell'assemblea con esito negativo (una sorta di condizione di procedibilità), in caso siano emerse gravi irregolarità fiscali imputate all'amministratore o per la mancata apertura ed utilizzazione del conto intestato al condominio.
L'art. 1129 c.c. specifica quali possono essere le “gravi irregolarità”, si tratta, tuttavia, di ipotesi non esaustive, ulteriori fattispecie infatti sono state individuate nel tempo dalla giurisprudenza.
Tra queste la norma richiamata contempla:
1) l'omessa convocazione dell'assemblea per l'approvazione del rendiconto condominiale, il ripetuto rifiuto di convocare l'assemblea per la revoca e per la nomina del nuovo amministratore o negli altri casi previsti dalla legge;
2) la mancata esecuzione di provvedimenti giudiziari e amministrativi, nonché di deliberazioni dell'assemblea;
3) la mancata apertura ed utilizzazione del conto corrente condominiale;
4) la gestione secondo modalità che possono generare possibilità di confusione tra il patrimonio del condominio e il patrimonio personale dell'amministratore o di altri condomini;
5) l'aver acconsentito, per un credito insoddisfatto, alla cancellazione delle formalità eseguite nei registri immobiliari a tutela dei diritti del condominio;
6) qualora sia stata promossa azione giudiziaria per la riscossione delle somme dovute al condominio, l'aver omesso di curare diligentemente l'azione e la conseguente esecuzione coattiva;
7) l'inottemperanza agli obblighi di cui all'articolo 1130, numeri 6 (registro anagrafe condominiale), 7 (registro verbali assemblea; registro nomina e revoca amministratore; registro contabilità) e 9 (attestazione stato pagamenti e liti in corso);
8) l'omessa, incompleta o inesatta comunicazione dei dati di cui al secondo comma del presente articolo (dati anagrafici e professionali, codice fiscale - se si tratta di società anche la sede legale e la denominazione - il locale dove si trovano i registri, i giorni e le ore di presa visione e rilascio documenti).
Ad avviso di chi scrive, tuttavia, ci troviamo dinnanzi ad una tipica norma a fattispecie aperta che, appunto, non esaurisce tutte le possibili ipotesi di gravi irregolarità, ed è in tal senso che appare pienamente operante il principio della cd. mala gestio, mutuato appunto dalle norme sul mandato che, come abbiamo avuto modo di verificare, risultano applicabili anche alla figura dell'amministratore di condominio.
Ecco che allora l'amministratore (mandatario) è tenuto ad eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia e i condòmini, di contro, quali mandanti, sono tenuti a fornire all'amministratore i mezzi necessari per la corretta esecuzione del mandato.
Detto ciò, tra le ipotesi di mala gestio non tipizzate, rientrano senza dubbio il mancato versamento degli oneri previdenziali e assistenziali, il mancato versamento delle contribuzioni I.N.A.I.L. (Cfr.: Tribunale di Palermo, 21.01.2015), “gonfiare” le spese, omettere di presentare il modello 770. Altre fattispecie sono state individuate nella omessa ripartizione dei consumi dell'acqua e nella utilizzazione di tabelle millesimali difformi.
Ed ancora, altre ipotesi di gravi irregolarità sono rinvenibili nel mancato conseguimento della specifica abilitazione da parte dell'amministratore, dall'omesso aggiornamento professionale(annuale) ovvero nel rifiuto di fornire la documentazione ai condòmini richiedenti.
Infine, queste sicuramente le ipotesi più gravi, i casi di appropriazione e distrazione di denaro di pertinenza del condominio ovvero incassare “bustarelle” dai fornitori che, di contro, per recuperare gli esborsi aggiuntivi, potrebbero artatamente aumentare gli importi delle fatture, con costi che, a quel punto, risulterebbero fuori mercato.
Ipotesi, quest'ultime, per le quali risulta configurabile anche una responsabilità penale a carico dell'amministratore di condominio.
Da ricordare, infine, che: “A seguito dell'entrata in vigore della Riforma del Condominio la presenza di "gravi irregolarità" da parte dell'Amministratore di Condominio comporta la immediata revoca di quest'ultimo. Ciò, nonostante, nella fattispecie, lo stesso Amministratore si fosse poi repentinamente reso disponibile a rimediare all'errore commesso poiché la sua condotta, ha comportato, a detta del Collegio, una "inescusabile superficialità" (Trib. Trento Ordinanza, 05/06/2014).
Pertanto, anche il successivo “ravvedimento” dello stesso non lo salverebbe dalla revoca giudiziaria.
Da un punto di vista civilistico, in caso di gravi irregolarità, l'amministratore dello stabile può essere anche chiamato a rispondere degli eventuali danni provocati al condominio.
Ecco che allora: “In tema di condominio, la mancata disponibilità della documentazione contabile in sede di approvazione del consuntivo da parte dei condomini comporta la violazione, da parte dell'amministratore, del dovere di diligenza ex art. 1710 c.c. nella gestione contabile e dell'obbligo di fornire un chiaro rendiconto del proprio operato, con la conseguente invalidità della delibera di approvazione e condanna dell'amministratore al risarcimento del danno prodotto dalla sua negligente attività” (Trib. Monza Sez. IV, 26/11/2007); “L'amministratore del condominio configura un ufficio di diritto privato assimilabile al mandato con rappresentanza con la conseguente applicabilità, nei rapporti tra l'amministratore e ciascuno dei condomini, delle disposizioni sul mandato, tale che alla scadenza del mandato l'amministratore è tenuto a restituire, ex art. 1713 c.c., ciò che ha ricevuto nell'esercizio del mandato stesso per conto del condominio, ivi compresi i documenti concernenti la gestione dello stesso. (Nella specie, in particolare, l'ex amministratore condominiale è tenuto anche al risarcimento del danno consistente nelle spese legali sostenute in procedimenti stragiudiziali volti a comporre vertenze con fornitori che avanzavano ritardi nei pagamenti, ritardi da imputarsi alla mancanza della necessaria documentazione poiché nella disponibilità dello stesso che rifiutava di consegnarla” (Trib. Genova Sez. III, 03/07/2007);
L'amministratore non più confermato ha l'onere, ex art. 1713 c.c., di rendere il conto della sua gestione e di consegnare al condominio tutti i documenti e i libri riguardanti la gestione del condominio. Se l'amministratore non ottempera a tale obbligo, deve essere condannato non solo alla consegna di tale documentazione, ma anche al risarcimento del danno causato al condominio e costituito in quei costi necessari a ricostruire le posizioni contabili interne e verso terzi fornitori. Tale danno non è sempre facilmente documentabile e potrà essere liquidato equitativamente” (Trib. Padova Sez. I, 14/06/2003).
STUDIO LEGALE AVV. PAOLO ACCOTI
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Fonte http://www.condominioweb.com/amministratore-di-condominio-e-gravi-irregolarita.12010#ixzz3hOD1TcA6


Pensiline in condominio, limiti e diviti

Pensiline in condominio, limiti e diviti


La casistica relativa alla installazione di tettoie, pensiline e tende retrattili o fisse da parte del singolo condomino, risulta tutt'oggi molto ampia. In realtà si tra di una questione di limiti che si basa, in buona sostanza, da una regolamentazione dei rapporti di buon vicinato contemperando interessi contrapposti: da un lato quello del condomino di godere di aria, luce e visuale, dall'altro quello dell'inquilino del piano superiore a non interferenze, dirette o indirette, nel godimento del proprio diritto.
In linea generale si può affermare che ciascun condomino ha la facoltà di trarre dal bene comune una utilità maggiore e più intensa di quella che ne viene tratta dagli altri condomini, purché non venga alterata la destinazione del bene o compromesso il diritto al pari uso da parte di questi ultimi. L'art. 1102 cod. civ. assicura, al singolo partecipante maggiori possibilità di godimento della cosa, entro determinati limiti, a servirsi di essa anche per fini esclusivamente propri, traendone ogni possibile utilità. => Le pensiline di notevoli dimensioni sono nuove costruzioni e devono essere autorizzate.
La cosa comune può essere utilizzata dal condomino anche in modo particolare, se l'utilizzo di quest'ultima:
  • non alteri l'equilibrio degli altri comproprietari;
  • non determini pregiudizievoli invadenze;
  • non pregiudica la stabilità o alla sicurezza del fabbricato;
  • non altera il decoro architettonico.
Infine, nel quadro dei limiti all'uso della cosa comune va inserito anche il contemperamento delle norme sulle distanze, laddove applicabili. In questo contesto si inserisce la recente sentenza della Cassazione che ha stabilito il seguente principio: “l'estensione del diritto di ciascun comunista, trova il limite nella necessità di non sacrificare ma di consentire il potenziale pari uso della cosa da parte degli altri partecipanti” (Cfr. Cass., 10453/2011).
Dal punto di vista pratico la realizzazione della pensilina può ritenersi legittima in quanto:
  • l'opera seppure realizzata senza il rispetto delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà contigue è ritenuta compatibile con la struttura dell'edificio condominiale;
  • vista la fragilità del manufatto, il medesimo non poteva certo agevolare l'introduzione di ladri nell'appartamento soprastante;
  • non vi è lesione del diritto di veduta, stante il materiale trasparente di cui erano costituite le pensiline, e quindi non impedisce la veduta ai proprietari del piano sovrastante.
Ulteriore problematica strettamente collegata è quella delle distanze. Ovviamente, si dovrà sempre tener conto in concreto della struttura dell'edificio, delle caratteristiche dello stato dei luoghi e del particolare contenuto dei diritti e delle facoltà spettanti ai singo­li condomini. Il giudice dovrà di volta in volta verificare se le distanze legali siano o meno compatibili con i diritti dei condomini oppure con la struttura dell'edificio e con le caratteristiche dello stato dei luoghi.
La giurisprudenza (Cass., 18 marzo 1991 n. 2873 Cass., 2 ottobre 2000, n. 13012; Cass., 5 aprile 2000, n. 4190; Cass., 18 marzo 1991, n. 2873) ha affermato che in caso di installazione di una tenda di tela scorrevole con comando a manovella non può considerarsi "costruzione" vietata, pure se situata a distanza inferiore a tre metri dal balcone o dalla finestra del piano sovrastante, ancorché siano necessari per farla funzionare dei sostegni fissi, atteso che tale tenda, non pregiudica permanentemente la prospectio né diminuisce l'aria e la luce al condomino del piano sovrastante. Quindi se trattasi di una tenda mobile, per la sua stessa conformazione, viene aperta temporaneamente restringendo la visuale solo in un piccolo tratto e per determinate ore del giorno. L'opera è quindi compatibile con la struttura dell'edificio condominiale senza provocare una lesione concreta al diritto di veduta.


Fonte http://www.condominioweb.com/linstallazione-delle-pensiline-n-condominio.12008#ixzz3hO8xWYIE




mercoledì 29 luglio 2015

Si riducono ancora gli spread sui mutui:dimezzato il fisso, -30% per il variabile

Si riducono ancora gli spread sui mutui:dimezzato il fisso, -30% per il variabile


di Emiliano Sgambato
La media dei migliori spread per il tasso fisso scende all’1,3% (-47% su base annua). E cala all’1,7% (-30%) anche il differenziale applicato al variabile. Nel primo trimestre i valori erano pari rispettivamente a 1,9% e 1,8%. Migliorano ancora, quindi, le condizioni per chi deve accendere un mutuo o “cambiare” un finanziamento esistente (surroga). Il dato emerge dalla Bussola di Crif e MutuiSupermarket relativa al secondo trimestre del 2015, secondo cui si consolida la volontà del sistema bancario di rilanciare gli impieghi in ambito residenziale: «Va considerato – silegge nella Bussola – come l’iniezione della Bce nel sistema bancario europeo di ingenti masse liquide assieme a ridotti rendimenti su investimenti alternativi agli impieghi in finanziamenti per la casa continuino a spingere gli istituti di credito verso il rilancio commerciale del prodotto mutuo, proponendo spread e condizioni economiche sempre più ridotte e attraenti per i nuovi potenziali clienti».
Anche se le nuove compravendite immobiliari non sembrano ancora beneficiare in maniera così diretta del “taglio prezzi” registrato in ambito mutui. Come noto, infatti, i dati dell'Agenzia delle Entrate relativi al primo trimestre 2015 registrano infatti una ulteriore flessione del numero delle compravendite residenziali pari al -3%, dopo due trimestri, il terzo e il quarto del 2014, che avevano segnato una ripresa delle nuove transazioni, pari rispettivamente al +4,2% e +7,1%. Stesso discorso per l’andamento dei prezzi degli immobili residenziali nel secondo trimestre 2015 che «segna una nuova sensibile riduzione, pari al -2,5% dopo aver registrato un -1,9% nel primo trimestre 2015. In particolare, il prezzo/mq degli immobili usati registra una contrazione del -0,8%, mentre il prezzo/mq dei nuovi immobili subisce una riduzione del -5,7%». Un trend evidenziato anche dall'andamento del valore medio degli immobili forniti in garanzia, che passa dagli oltre 200mila euro del 2010 ai circa 175mila euro attuali.
Afronte di una domanda di nuovi mutui che segna un +59% sul primo semestre 2015, i consumatori sembrano muoversi con cautela: da un lato gli importi medi richiesti sono appena sotto i 122.300 euro a fronte dei 140mila del 2010, dall’altra i piani di rimborso si allungano ancora e il tasso fisso raccoglie addirittura il 71% delle preferenze. Dati influenzati anche dall’impennata delle surroghe, pari a circa il 50% delle richieste raccolte online.
«Il mercato dei mutui sembra essersi avviato su un sentiero di solido recupero dei volumi pre-crisi – commenta Stefano Rossini, amministratore e fondatore di MutuiSupermarket.it –. A conferma del +35% dei nuovi flussi di mutui residenziali registrato da Banca d'Italia sui primi 3 mesi del 2015. Il clima finanziario rimane positivo, con istituti di credito che hanno ridotto in maniera significativa i propri spread di offerta sui nuovi mutui nel corso della prima metà dell'anno e che iniziano già a ipotizzare nuovi round di taglio spread sul prossimo autunno 2015. Sarà dunque fondamentale osservare sui prossimi trimestri l'andamento del mercato immobiliare, da sempre vero motore di crescita sostenibile del mercato dei finanziamenti per la casa».
«La ripresa del mercato immobiliare è ormai prossima, anche se osservando la perdurante caduta dei prezzi e la nuova lieve decrescita delle compravendite residenziali, emergono segnali di faticoso riavvio – commenta Stefano Magnolfi, direttore real estate services di Crif –. Per il prossimo futuro ci si attende comunque una seppur lieve espansione delle compravendite e una conseguente ripresa del mercato immobiliare. Rilevante anche il fenomeno per cui la caduta dei prezzi riguarda in maniera minoritaria gli immobili usati, confermando invece l'inversione di tendenza che si era già manifestata nello scorso trimestre, per cui è ora l'immobile nuovo a risentire maggiormente delle dinamiche negative del mercato, a causa della difficoltà in cui versa il comparto dell'edilizia e della presenza di una certa porzione di nuovi immobili invenduti».
FONTE : CASA24PLUS

Contratto di locazione 3+2

Contratto di locazione 3+2

Le parti di un contratto di locazione ad uso abitativo – locatore e conduttore – possono stipulare un contratto liberamente, ossia contrattando tra di esse ciò che ritengono più opportuno in termini di determinazione del canone ed oneri accessori, ferma restando la durata imposta per legge (il così detto contratto 4+4) oppure possono scegliere una tipologia contrattuale più rigida ma di durata inferiore.
Il riferimento è ai così detti contratti 3+2 disciplinati dall'art. 2, terzo comma, legge n. 431/98.
Recita la norma:
“In alternativa a quanto previsto dal comma 1 (i contratti 4+4 n.d.A.), le parti possono stipulare contratti di locazione, definendo il valore del canone, la durata del contratto, anche in relazione a quanto previsto dall'articolo 5, comma 1, nel rispetto comunque di quanto previsto dal comma 5 del presente articolo, ed altre condizioni contrattuali sulla base di quanto stabilito in appositi accordi definiti in sede locale fra le organizzazioni della proprieta' edilizia e le organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative. Al fine di promuovere i predetti accordi, i comuni, anche in forma associata, provvedono a convocare le predette organizzazioni entro sessanta giorni dalla emanazione del decreto di cui al comma 2 dell'articolo 4. I medesimi accordi sono depositati, a cura delle organizzazioni firmatarie, presso ogni comune dell'area territoriale interessata”.
Alla durata del contratto (al di là dei casi di locazione transitoria) si fa riferimento nel quinto comma del medesimo articolo in esame, a mente del quale “I contratti di locazione stipulati ai sensi del comma 3 non possono avere durata inferiore ai tre anni, ad eccezione di quelli di cui all'articolo 5. Alla prima scadenza del contratto, ove le parti non concordino sul rinnovo del medesimo, il contratto e' prorogato di diritto per due anni fatta salva la facolta' di disdetta da parte del locatore che intenda adibire l'immobile agli usi o effettuare sullo stesso le opere di cui all'articolo 3, ovvero vendere l'immobile alle condizioni e con le modalita' di cui al medesimo articolo 3. Alla scadenza del periodo di proroga biennale ciascuna delle parti ha diritto di attivare la procedura per il rinnovo a nuove condizioni o per la rinuncia al rinnovo del contratto comunicando la propria intenzione con lettera raccomandata da inviare all'altra parte almeno sei mesi prima della scadenza. In mancanza della comunicazione il contratto e' rinnovato tacitamente alle medesime condizioni”.
Il contratto dura tre anni e si rinnova, nei fatti automaticamente, per un altro biennio salvo i casi in cui il locatore intenda adibire l'immobile a propria abitazione, oppure venderlo ma nel rispetto di quanto stabilito dall'art. 3 legge n. 431/98.
Al termine del quinquennio è possibile attivare la procedura di rinnovo o di rinuncia al rinnovo: il silenzio delle parti comporta la prosecuzione del vincolo contrattuale alle medesime condizioni.
Rispetto al contratto 4+4, chi decide di utilizzare il così detto 3+2 è tenuto al rispetto di più vincoli.
Si pensi al canone. In ragione di quanto previsto dalla legge n. 431/98 è stato emanato un decreto ministeriale (d.m. 30 dicembre 2002) atto a disciplinare più di un aspetto della contrattazione relativa ai contratti in esame ed a quelli transitori.
Rispetto alle pigioni, l'art. 1 del dm. 30 dicembre 2002, specifica che “Gli Accordi territoriali, in conformità delle finalità indicate all'articolo 2, comma 3, della legge 9 dicembre 1998, n. 431, stabiliscono fasce di oscillazione del canone di locazione all'interno delle quali, secondo le caratteristiche dell'edificio e dell'unità immobiliare, è concordato, tra le parti, il canone per i singoli contratti”.
Il decreto ministeriale specifica una serie di parametri e riferimenti per la determinazione dellefasce di oscillazione del canone per i contratti 3+2.
L'utilizzazione di questa formula contrattuale non prevede l'obbligo di rivolgersi alle associazioni di categoria di proprietari e conduttori maggiormente rappresentative per la sua stipula ma è consigliabile farlo laddove si abbiano incertezze su uno o più punti del contratto che si andrà a sottoscrivere.
In ogni caso è bene evidenziare che tali accordi sono materialmente depositati presso i Comuni competenti.
Come il contratto 4+4, anche il contratto con canone concordato, il così detto 3+2, dev'essere redatto in forma scritta e registrato a pena di nullità.
Gli oneri accessori, ossia le spese condominiali, sono dovute in ragione di quanto previsto negli accordi tipo.


Fonte http://www.condominioweb.com/breve-panoramica-sul-contratto-di-locazione.12007#ixzz3hHPpZNsr


Costruzione di un gazebo sul lastrico solare ad uso esclusivo ed alterazione del decoro architettonico

Costruzione di un gazebo sul lastrico solare ad uso esclusivo ed alterazione del decoro architettonico

L'art. 1117 cod. civ., elenca espressamente, tra le parti comuni dell'edificio, il lastrico solare. Il lastrico solare si presume di proprietà comune a tutti i condomini, sempreché non risulti dal “titolo” una pattuizione diversa.
Avviene piuttosto di frequente che il lastrico solare anziché essere di proprietà comune di tutti i condomini, appartiene soltanto ad alcuni (o ad uno) dei condomini. È anche ipotesi abbastanza frequente che il lastrico appartenga addirittura a persona che partecipa al condominio solamente quale proprietaria del lastrico. Questa peculiarità ha i suoi riflessi con particolare riguardo all'onere delle spese di manutenzione e riparazione, nonché al diritto di sopraelevazione.
L'esistenza della proprietà esclusiva, dà vita ad una particolare situazione di concorrenza di diritti: quello di copertura dell'edificio, a vantaggio del proprietario esclusivo, o di chi ne ha l'uso esclusivo. => Uso dei beni comuni, niente serre sul lastrico solare!
Sviluppando quanto accennavamo sopra, possiamo ora individuare quattro limiti al godimento del lastrico, da parte del proprietario esclusivo:
  1. le modificazioni o gli atti di godimento del lastrico solare non devono essere operati a scopo emulativo. È un divieto di carattere generale che trova il suo fondamento dell'art. 833 cod. civ.;
  2. tutte le opere poste in essere dal singolo condomino non devono essere contrarie alle norme previste dal regolamento condominiale;
  3.  il proprietario esclusivo non può, nell'esercizio del proprio diritto, arrecare comunque pregiudizio alla funzione di copertura cui la terrazza, o il lastrico solare, naturalmente assolve.
  4. il proprietario esclusivo del lastrico solare non può compiere alcun atto di godimento, o di modificazione del suo bene, se ciò comporta un danno al decoro dell'edificio, poiché, evidentemente, ne deriverebbe una diminuzione patrimoniale del valore dell'intero edificio e, quindi, una violazione dei diritti degli altri condomini.
Proprio in riferimento a quest'ultimo limite, descritto al punto sub-4, una sentenza della Corte di Cassazione (sentenza n. 24305/08) ha stabilito che va rimosso il gazebo fatto con materiali che contrastano con quelli usati per il terrazzo condominiale, anche se l'edificio non ha pregi architettonici e la costruzione del manufatto è stata eseguita sulla parte del lastrico solare di cui il proprietario dell'appartamento dell'ultimo piano ha l'uso esclusivo. Praticamente il gazebo, secondo i Giudici, deve essere rimosso in quanto non si armonizza col contesto che lo circonda, peggiorando addirittura lo stato preesistente, in quanto la palizzata in legno costruita e i tubi metallici di sostegno si presentavano molto simile ad una recinzione di cantiere e sicuramente non armonizzavano, ma svilivano sotto il profilo estetico e simmetrico le pur modeste strutture preesistenti.
Da questa sentenza emerge, in primo luogo, che il decoro architettonico non costituisce una qualità eventuale, bensì un valore connaturale all'esistenza stessa di un edificio come tale; vi è una dignità estetica, quindi, in ogni fabbricato, anche in quelli a carattere popolare o, comunque, con minori pretese dal punto di vista artistico. Si afferma, quindi, che il giudice, nell'accertare se il decoro architettonico sia stato in concreto pregiudicato, deve prendere in considerazione il carattere dell'edificio, usando criteri di maggior rigore per gli edifici che abbiano un vero e rilevante pregio architettonico e criteri di minor rigore per quegli edifici che ne abbiano invece uno modesto, per il loro carattere popolare (Cass. 24 ottobre 1968, n. 3477; Cass. 15 aprile 2002, n. 5417).
Secondo elemento che il giudice ha tenuto a precisare è quella della salvaguardia della fisionomia unitaria. A riguardo la giurisprudenza ha, tuttavia, precisato che ciascun prospetto del fabbricato, in ragione delle sue caratteristiche di visibilità, può essere oggetto di autonoma considerazione. Per esempio nella fattispecie affrontata dalla Cassazione con sentenza del 15 gennaio 1986, n. 175, un condomino aveva trasformato da terrazzo in veranda coperta una parte della sua proprietà al piano attico; la Corte di Merito aveva ravvisato nell'isolato avancorpo, un'opera lesiva del decoro architettonico in quanto interrompeva bruscamente l'omogeneità della parte alta del fabbricato – realizzato con semplice ma armonica linea di terrazzo – e rappresentava sicuramente un elemento di estraneità per chi osservava l'edificio dalla strada o dai fabbricati vicini, prescindendo dalla circostanza che un analogo manufatto era stato da altri eseguito sul fronte opposto del palazzo. Per altro verso, si è precisato che un'alterazione del decoro architettonico può derivare anche da una modificazione interessante, in via immediata, solo “singoli elementi o singoli punti del fabbricato” ma suscettibile, tuttavia, di rifletterai negativamente sull'insieme dell'aspetto esteriore dell'edificio (Cass. 29 luglio 1995, n. 8381; Cass. 3 settembre 1998, n. 8731).
Al riguardo è significativa la fattispecie affrontata da Cass. 6 ottobre 1997, n. 9717, nella quale il condominio aveva lamentato la lesione del decoro architettonico in una costruzione di circa 56 mq. sulla superficie di un appartamento in proprietà esclusiva ed il giudice di merito, nell'accogliere la domanda di demolizione, aveva pur riconosciuto, sulla base dei rilievi eseguiti al c.t.u., che il principio ispiratore delle linee estetiche dell'edificio era del tutto “anonimo”, trattandosi di edificio appena decoroso e che, invece, la nuova costruzione si presentava “dignitosa e discretamente realizzata”. => Si altera il decoro architettonico se si cambia la porta della propria abitazione?
Dai dettati giurisprudenziali possiamo quindi riassumere quanto segue:
  • il decoro architettonico negli edifici in condominio è una qualità essenziale ed intrinseca riscontrabile ogni edifico;
  • tale qualità è di per sé un valore essenzialmente immateriale, che non si identifica con la conformazione materiale di talune parti o di tutto l'edificio ma ne è piuttosto la risultante sotto il profilo estetico complessivo;
  • il decoro architettonico si configura come valore elastico caratterizzato da un ampio margine di oscillazione, condizionato da mutevoli variabili come quelle del costume sociale e dall'evoluzione tecnologica.


Fonte http://www.condominioweb.com/costruzione-di-un-gazebo-sul-lastrico-solare.12006#ixzz3hH1P1GDA


martedì 28 luglio 2015

Il fotovoltaico residenziale traina il mercato delle rinnovabili, ma sconta l’addio al Conto energia

Il fotovoltaico residenziale traina il mercato delle rinnovabili, ma sconta l’addio al Conto energia


di Dario Aquaro
Nel primo semestre del 2015 il volume complessivo di potenza fotovoltaica connessa è stato di 127,39 MW. Registrando una leggera ripresa delle installazioni a maggio e giugno, rispetto ai primi quattro mesi dell'anno. Lo segnala l'Osservatorio di AnieRinnovabili, che ha rielaborato i dati Gaudì e presentato il quadro dell'installato di energia rinnovabile in Italia. Un quadro «confortante ma non del tutto soddisfacente», lo definisce il vicepresidente dell'Associazione, Alberto Pinori. «Non dobbiamo infatti dimenticare che siamo ancora lontani dai 500 MW previsti per il settore e dai 400 MW circa connessi nel 2014. Ci auguriamo che i dati dei prossimi mesi possano rispecchiare il reale potenziale di questo importante comparto industriale».
Per quanto riguarda le classi di potenza, i dati evidenziano che gli impianti del settore residenziale, di media e piccola taglia (potenza cioè compresa tra 3 e 6 kW), continuano a farla da padrone, con un installato pari a 46,02 MW. Al secondo posto gli impianti compresi tra 20 e 200 kW, taglia propria del settore industriale, con 27,86 MW di potenza connessa.
Numeri che non stupiscono, visto che quello residenziale e dei piccoli impianti è tornato ad essere già l'anno scorso il principale segmento di mercato, con un peso sul nuovo pari al 59 per cento (mentre sono sostanzialmente “spariti” gli impianti di taglia superiore al MW).
Per capirsi, nel 2014 sono stati installati in Italia “solo” 385 MW di potenza fotovoltaica, poco più del 22% rispetto al 2013 e in linea invece con i valori del 2008. È come se il fotovoltaico italiano avesse fatto un salto nel tempo, tornando ai suoi albori, sottolinea il Report sulle rinnovabili elettriche dell'Energy Strategy Group del Politecnico di Milano. Alla riduzione delle taglie dell'installato – spiegano gli ingegneri - si è associata anche una sua redistribuzione “geografica”, con la Lombardia a controllare nel 2014 da sola il 33% del mercato delle nuove installazioni: più in generale, l'anno scorso quasi il 42% dei nuovi impianti sono stati fatti al Nord, il 35% al Centro e “soltanto” il 23% al Sud.
Il fotovoltaico italiano a fine 2014 ha toccato quota 648.183 impianti, con una potenza complessiva di 18.325 MW, arrivando a pesare per quasi il 15% sul totale installato nel mondo. E adesso, in uno scenario ottimistico, prevede di salire di 500 MW nel 2015, portandosi a 21,8 GW. In uno scenario invece “conservativo”, secondo le previsioni degli esperti del Politecnico, il mercato si attesterebbe a circa 400 MW nel 2015, con un sostanziale consolidamento del residenziale e un ulteriore calo delle installazioni negli altri segmenti.
È dunque un fatto che nella crisi post-incentivi (leggi: fine del Conto energia) a tenere e crescere siano in particolar modo i piccoli e medi impianti, anche grazie al meccanismo delle detrazioni fiscali: il bonus sulle ristrutturazioni copre l'installazione di impianti basati su fonti rinnovabili – realizzati anche in assenza di opere edilizie propriamente dette – ed è stato prorogato al 50% per le spese sostenute durante tutto il 2015. E senza contare che le spese da sostenere per l'investimento sono diminuite di circa il 75% rispetto a qualche anno fa.
«Nonostante i dati incoraggianti di giugno - commenta il presidente di Anie Rinnovabili, Emilio Cremona – occorre comunque continuare sulla strada intrapresa, con provvedimenti che stimolino il settore». L'Associazione ha tra l'altro proposto di inserire nel Green Act la possibilità di smaltire le coperture di amianto su edifici civili ed industriali e di sostituirle con impianti a fonte rinnovabile.
Dal residenziale, dalle nuove tecnologie di accumulo e dallo stimolo all'autoconsumo deve dunque venire lo slancio per la ripartenza del comparto industriale. Intanto, considerato il trend delle installazioni degli ultimi anni favorito proprio dal Conto energia, ci sono oggi molti impianti domestici in funzione da oltre un lustro e che necessitano di revamping. Impianti che sono naturalmente soggetti a una progressiva obsolescenza, e che a volte – spiegano gli operatori – nella foga di inseguire le tariffe incentivanti sono stati realizzati senza opportune valutazioni. Con un occhio al degrado prestazionale e agli eventuali vizi costruttivi, diventano allora sempre più centrali i servizi di Operation&Maintenance: la verifica del corretto funzionamento e l'analisi delle possibilità di ripristino (o aumento) delle prestazioni, tra piccole migliorie o accorgimenti nell'utilizzo e interventi più strutturali e complessi.
FONTE : CASA24PLUS

Permesso di costruire. È sempre necessario l'intervento dell'assemblea condominio?

Permesso di costruire. È sempre necessario l'intervento dell'assemblea condominio?

Il Tar Campania traccia una chiara linea di demarcazione fra normativa urbanistico-edilizia che prevede svariate forma di partecipazione di privati e soggetti portatori di interessi diffusi e rilascio del permesso di costruire che, invece, non prevede alcuna partecipazione di terzi interessati
I proprietari di due appartamenti collocati in un edificio condominiale risalente al periodo fascista, in occasione dei lavori di manutenzione straordinaria consistenti nel rifacimento della facciata, comunicano all'assemblea di condominio la loro intenzione di trasformare due finestre, collocate nei rispettivi immobili, in balconi.
L'assemblea di condominio si esprime negativamente deliberando che tali lavori non avrebbero potuto essere eseguiti, ma incuranti della volontà espressa dall'organo assembleare i proprietari degli appartamenti in questione, dopo aver presentato al Comune una Scia (Segnalazione certificata di inizio attività), provvedono alla realizzazione dei balconi. =>Permesso di costruire al singolo condomino. È possibile in assenza di una delibera dell'assemblea condominiale?
Preso atto di tale circostanza il condominio, tramite il proprio legale, chiede al Comune di riesaminare tale atto assertivo puntualizzando che lo stesso non aveva tenuto conto in alcun modo del diniego espresso dal condominio in merito alla realizzazione delle opere in questione. Il Comune dal canto suo rifiutava di riesaminare nuovamente la questione motivando tale rifiuto sostenendo:
a) l'assenza nelle pratiche edilizie esaminate del diniego condominiale all'istanza di autorizzazione degli interventi,
b) e la natura non pattizia della Scia, tanto che con successiva nota dirigenziale invitava i condòmini al che “ ogni pretesa di terzi sull'area oggetto di intervento dovrà essere svolta nelle sedi giudiziarie competenti”.
I condomini, ritenendo che l'Ente aveva illegittimamente omesso di prendere in considerazione la loro richiesta impugna i provvedimenti appena menzionati, motivando il proprio ricorso sulla base di una serie di motivazioni fra i quali i ricorrenti fanno figurare quello secondo cui l'atto di assenso condominiale costituisce un presupposto di legittimità del titolo edilizio, la cui mancanza comporta il dovere di demolizione delle opere realizzate ( balconi)…
Il Tar campano, esaminato i motivi del ricorso e la questione giuridica nel suo insieme, ha precisato che il suo sindacato “ non può spingersi fino alla verifica circa l'effettiva necessità dell'assenso condominiale alla luce delle caratteristiche dell'intervento realizzato. …. Nel caso in questione, infatti, sono in gioco la violazione delle norme del Codice civile circa l'uso delle parti comuni e pertanto si tratta di censure che investono la violazione di diritti soggettivi… che riguardano il diritto di proprietà del Condominio e dei singoli proprietari sulle aree comuni….” ( A tal proposito la sentenza cita il seguente precedente giurisprudenziale Tar Venezia, Veneto, sez. II, 14.2.2014, n. 199)
Tutta la questione sollevata con il ricorso, infatti, ruota intorno alla rilevanza dell'autorizzazione condominiale al fine del rilascio della Scia attraverso l'iniziativa di contro interessati. A tal proposito è bene sottolineare, così come evidenziato dalla sentenza in commento, che la giurisprudenza amministrativa fornisce una risposta negativa a tale quesito ribadendo unanimemente che “ deve assolutamente censurarsi quella prassi amministrativa che subordina il rilascio di titoli edilizi abilitativi al consenso di titolari di diritti reali confinanti o di diritti reali di comunione – tra cui il condominio- e finanche di diritti personali di godimento” pertanto tale circostanza comporta che “ i rapporti fra l'istante ed i vicini hanno natura e rilevanza privatistica e non devono interessare l'amministrazione locale ….” (Tar Latina, Lazio, sez. I, 9.12.2010 n. 1949; Tar. Venezia, Veneto, sez. II, 2.7.2007 n. 2139; Consiglio di Stato, sez. V, 9.11.1998 n. 1583)
Dunque, collocandosi nel solco giurisprudenziale prevalente, la sentenza del Tar Campano in commento ha ulteriormente ribadito che il rilascio di titoli abilitativi edilizi non è subordinato al consenso dei condòmini, in quanto i rapporti fra questi ultimi e l'istante hanno natura privatistica e non devono interessare l'amministrazione locale anche perché in tali casi opera la clausola di salvaguardia generale che fa salvi i diritti dei terzi prevista dall'art. 11, comma terzo, del Dpr 380/2001.
In seguito alla presentazione di un'istanza edificatoria, quindi, il Comune ha l'obbligo di valutare se l'istante abbia l'effettiva disponibilità del bene oggetto dell'intervento edificatorio quando tale circostanza sia posta in discussione da uno o più comproprietari che si attivino per denunciare il proprio dissenso al rilascio del titolo (Tar Puglia, Lecce, sent. 49/2012; Tar Piemonte, sez. I, n. 3182/2008), ma non può certo esercitare un potere di autotutela una volta giunto a conoscenza della mancanza di autorizzazione condominiale.
Tar Campania, Salerno, n. 1409 del 22.06.2015


Fonte http://www.condominioweb.com/trasformare-due-finestre-in-balconi.12003#ixzz3hCWWvd2e


Bollette gas e luce. In arrivo una pioggia di ricorsi per il rimborso.

Bollette gas e luce. In arrivo una pioggia di ricorsi per il rimborso.

L'Iva sulla bolletta del gas e dell'elettricità non deve essere calcolata anche sulle accise.
Ricorso vinto. Un consumatore veneziano ha fatto ricorso contro Enel per contestare la famigerata "tassa sulla tassa", vale a dire la quota di Iva sulla bolletta di gas ed elettricità calcolata anche sulle accise. La sua tenacia ha vinto, aprendo la strada a molti altri consumatori. Infatti, un Giudice di Pace di Venezia, con decreto ingiuntivo, ha reputato illegittimal'odiosa doppia imposta, stabilendo che l'Iva, sulle bollette del gas e dell'elettricità, non deve essere calcolata anche sulle accise e che i consumatori devono ricevere il rimborso di quanto hanno pagato in più. Il giudice, pertanto, ha ingiunto all'Enel di restituire poco più di 100 euro al cliente che aveva fatto ricorso. Poiché la tassa contestata finisce nelle casse dell'erario, successivamente lo Stato dovrà restituire tale somma alla società.
I criteri del giudice di Venezia. Il giudice ha ritenuto di dover appoggiare le ragioni del consumatore in virtù del principio stabilito dalla Cassazione a sezioni unite, nella sentenza 3671/97, secondo il quale, salvo deroga esplicita, un'imposta non costituisce mai base imponibile per un'altra. Il decreto ingiuntivo è passato in giudicato visto che Enel non aveva fatto opposizione, forse perché la società ha ritenuto di non essere lei a dover contestare il ricorso, visto che l'imposta è stabilita da una legge dello Stato.
Tuttavia, la direttiva europea sull'Iva, così come recepita nell'ordinamento italiano, avvallerebbe il fatto che l'Iva sia calcolata anche sulle accise, mentre la decisione del giudice di pace di Venezia segue la scia di quanto stabilito da varie sentenze sull'Iva sulla Tassa dei rifiuti. Infatti, la vicenda ha avuto origine proprio dalla campagna, portata avanti con successo dai consumatori (attualmente la Tari non prevede più il pagamento dell'imposta sul valore aggiunto), per ottenere il rimborso dell'Iva sulla Tassa dei rifiuti (Tia).
Un precedente importante. La decisione del giudice di Venezia ha creato un precedente importante. Infatti, mentre gli utenti commerciali, che possono scaricare l'Iva pagata, non hanno interesse a ricorrere, ciò non vale per gli utenti domestici. E se ognuno dei circa 21 milioni di clienti domestici vedesse accolto il proprio eventuale ricorso, l'erario potrebbe subire una perdita che si aggirerebbe intorno ai 2 miliardi di euro. => Bollette per il consumo dell'acqua. Sempre più elevate.
Secondo Federconsumatori, che da anni contesta l'applicazione di questa “tassa sulla tassa”, si tratta di una “storica sentenza”. Stando alle sue stime, senza l'Iva sulle accise, una famiglia media, con un consumo di 1.400 metri cubi di gas, pagherebbe ogni anno tra i 50 e i 75 euro in meno di bolletta. L'associazione ha già dato mandato alla propria Consulta giuridica di studiare le modalità di intervento e di ricorso per far ottenere a tutti i consumatori il rimborso di quanto pagato in più. E fa sapere che, grazie a questa sentenza, interverrà con ancora più forza "affinché l'imposizione dell'Iva su tali tributi sia cancellata definitivamente e venga messa la parola fine a questo vero e proprio abuso".
La possibilità di grossi rimborsi complessivi crescerebbe se i consumatori potessero fare ricorso allaclass action, ma, affinché ciò accada, deve prima essere approvato in maniera definitiva il testo che estende la possibilità di un'azione di classe dal codice dei consumatori al codice di procedura civile, testo attualmente all'esame del Senato.
Anche sulla benzina e sul gasolio si paga l'Iva sulle accise, che sono tra l'altro particolarmente pesanti in proporzione. Tuttavia, in quel caso è più difficile rivalersi sul venditore perché, a differenza del gas e della luce, non si ha una fattura da produrre per dimostrare quanto si è comprato e da chi.


Fonte http://www.condominioweb.com/elettricita-e-gas-liva-non-deve-essere-calcolata-sulle-accise.12005#ixzz3hCUVJOYW


lunedì 27 luglio 2015

Più famiglie in grado di coprire il costo del mutuo

Più famiglie in grado di coprire il costo del mutuo


 in “MutuiOnline informa


accessibilità al mutuo
Si chiama "indice di affordability", letteralmente ‘sostenibilità’ ed esprime in maniera sintetica l’insieme dei fattori che definisconol’accessibilità delle famiglie all’acquisto di una casa attraverso un finanziamento.
Elaborato dall’ABI, dal Ministero del Lavoro e dall'Agenzia del Territorio, tiene conto del costo finanziario di un mutuo di durata pari a 20 anni e loan-to-value dell'80%, con una rata del prestito pari al 30% del reddito familiare disponibile. In sostanza, è il risultato di più fattori: il reddito disponibile, i tassi di interesse praticati dalle banche in un determinato periodo, il costo dei mutui, i prezzi di mercato delle case.
Ne dà misura il Rapporto Immobiliare Residenziale realizzato dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare dell’Agenzia delle Entrate in collaborazione con l’ABI: la misura dell’indice rilevato nel 2014 è del 9%, in aumento di 2,3 punti rispetto all’anno precedente. Il miglioramento sembra sia dovuto in buona percentuale, circa per il 50%, alla riduzione del costo dei mutui, ma importante è anche il calo del prezzo delle case. Tra i fattori deterrenti che non hanno aiutato la crescita dell’indice, il reddito medio delle famiglie italiane, sceso dal 2008 dell’8% e in continua riduzione dall’anno in cui il mercato immobiliare non lasciava presagire alcuna crisi.
Nonostante tutto, l’analisi rileva che la situazione sembra essere migliorata, con il 60% delle famiglie in grado di coprire il 30% del costo annuo del mutuo: più 7% rispetto al 2013, con una distribuzione omogenea della capacità di acquisto in tutte le regioni d’Italia e soprattutto con ben otto regioni che hanno registrato il massimo storico dell’indice di affordability: un dato di grande rilievo se si considera che dal 2004 si era solo ridotto, prima ancora della crisi dell’intero sistema economico italiano.
Ma quello di affordability non è l’unico valore che si è rivelato positivo per i cittadini. Un’altra performance senza precedenti la sta garantendo ormai dall’inizio dell’anno l’Euribor, il tasso praticato tra le banche: un calo continuo e senza precedenti nonostante gli eventi importanti dell’economia che non hanno spostato l’indice - soprattutto quello a tre mesi - dall’essere sotto lo zero.
Nel calcolo del tasso di interesse nominale (il Tan), l’Euribor viene poi sommato allo spread su cui si determina la rata, ma se negativo, il tasso nominale del mutuo diviene paradossalmente inferiore allo spread stesso.
L’andamento dell’Euribor non sarebbe dunque correlato alle vicende politiche dell’Europa, ma all’economia stagnante o recessiva e all’inflazione molto bassa: conseguenza dunque di molte variabili quali la liquidità in circolazione, le aspettative di inflazione, la politica monetaria,
Ci si chiede quanto sia giusto da parte delle banche mettere un limite alla discesa dell’Euribor nel calcolo delle rate, fissando il famoso tetto massimo al di sotto del quale non è possibile scendere, non tenendo conto invece del contesto macroeconomico favorevole di cui i titolari di un mutuo potrebbero usufruire. Nessuna revisione è ancora in atto, mentre un rialzo è già previsto per la fine di questo anno, che porterà lentamente e in maniera graduale al consolidarsi di valori positivi del tasso interbancario entro il 2020.

FONTE : MUTUIONLINE
A cura di 

Scivolone nel parcheggio del centro commerciale, niente prova della ragione? Niente risarcimento

Scivolone nel parcheggio del centro commerciale, niente prova della ragione? Niente risarcimento!

In tema di danni da cosa in custodia non ha diritto al risarcimento del danno chi, cadendo nel parcheggio di un condominio, non fornisce la dimostrazione che il ruzzolone sia stato causato dalla cosa stessa e non, ad esempio, da sua disattenzione.
Questa, in sintesi, la conclusione cui è giunta la Suprema Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 15177 depositata in cancelleria il 20 luglio 2015.
Come si è arrivati a questa conclusione?
Il caso: una signora cadeva sul fondo scale del parcheggio di un centro commerciale. Essa faceva causa al condominio (i centri commerciali possono costituire condominii) e chiedeva il risarcimento per il danno provocatole dalla caduta; il condominio/centro commerciale si opponeva alla richiesta.
Sia in primo che in secondo grado la domanda risarcitoria veniva respinta. Da qui l'esito della controversia davanti ai giudici di Piazza Cavour che non hanno ribaltato la decisione rassegnata nella sentenza impugnata.
Si legge nell'ordinanza degli ermellini che anche in relazione alla responsabilità civile extracontrattuale per danni da cose in custodia, di cui all'art. 2051 cit., “sul danneggiato grava l'onere della prova in ordine all'esistenza del nesso di causalità. Da ciò consegue che, avendo il Giudice di merito ritenuto, con accertamento non sindacabile in questa sede, che la dinamica dei fatti indicata dalla (…) sia rimasta sfornita di prova, non ha senso invocare la tutela di cui all'art. 2051 cit., che si colloca comunque in un momento logicamente successivo rispetto alla prova della dinamica del fatto” (Cass. 20 luglio 2015 n. 15177).
Insomma, anche se è vero che l'art. 2051 c.c. rappresenta un'ipotesi di responsabilità obiettiva, ciò non vuol dire che la condanna al risarcimento si automatica. Per quanto a tale tipologia di responsabilità corrisponda un sensibile alleggerimento dell'onere probatorio in capo al danneggiato, questa circostanza non lo esime dal provare alcuni aspetti fondamentali.
La giurisprudenza, quando ha affrontato il tema della ripartizione dell'onere probatorio nelle ipotesi di responsabilità da cose in custodia, ha sempre affermato che il danneggiato deve provare il fatto (es. slogatura caviglia) e il nesso di causalità tra esso e la cosa un custodia (es. parcheggio condominiale), nonché l'entità del danno.
Di contro il custode (nel caso di specie il centro commerciali) può andare esente da responsabilità dimostrando l'esistenza di un caso fortuito, ossia di un evento imprevisto (es. comportamento improvvido del danneggiato, cfr., tra le varie, Cass. 18 dicembre 2009 n. 26751).
Chiaramente se il danneggiato non riesce a provare gli elementi succitati non può pretendere alcunché.
Come dire: non basta dimostrare che lo scivolone sia avvenuto nel parcheggio del centro commerciale, ma bisogna anche fornire prova che ciò è avvenuto a causa di quel bene e non per altri motivi.
In questo contesto è utile ricordare che la richiesta di risarcimento del danno per illecito extracontrattuale (il risarcimento per danno da cose in custodia rientra in tale categoria), non è soggetto al tentativo di mediazione (l'art. 71-quater disp. att. c.c. specifica che per controversia condominiale deve intendersi quella riguardante le norme di cui agli artt. 1117-1139 c.c. e 61-72 disp. att. c.c.) anche se la parte in causa è un condominio, ma al procedimento di negoziazione assistita, se la somma richiesta non eccede € 50.000,00 (cfr. d.l. n. 132/2014, convertito nella l. n. 162/2014).

Cass. ord. 20 luglio 2015 n. 15177


Fonte http://www.condominioweb.com/scivolare-nel-parcheggio-del-centro-commerciale.12002#ixzz3h6ClgTnV 



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