martedì 12 agosto 2014

Come fare per convocare l'assemblea senza far partecipare l'amministratore?

Come fare per convocare l'assemblea senza far partecipare l'amministratore?


Nel palazzo in cui vivo avremmo necessità di convocare un'assemblea condominiale per discutere e soprattutto decidere su alcune vicende che ci riguardano; noi, però,vorremmo che la riunione si tenesse senza la presenza dell'amministratore: è possibile?
Non è difficile calarsi nei panni di quei condomini che, per necessità, devono decidere qualcosa senza che l'amministratore sia presente.
Il pensiero solitamente va alla deliberazione di revoca; in questi casi, infatti, alle volte si prova un senso di vergogna (tipico di chi evidentemente non è propriamente convinto della propria azione) nell'esternare la propria volontà in tal senso se non di vera e propria paura quando s'ha soggezione verso il proprio legale rappresentante.
Proprio per la revoca, tuttavia, sopratutto quando la questione è incerta la presenza dell'amministratore potrebbe anche essere utile per instaurare una sorta di contraddittorio tra le parti al fine di far uscire dal confronto la soluzione migliore.
Un altro caso nel quale la presenza dell'amministratore potrebbe essere considerata di troppo è proprio la deliberazione opposta, quella di nomina o conferma, perché i condomini potrebbero avere necessità di confrontarsi e decidere sul compenso da proporre o controproporre.
In questo contesto, al fine di rispondere alla domanda che ci siamo posti in principio è necessario comprendere un aspetto: l'amministratore è obbligato a partecipare all'assemblea condominiale?
La risposta è la seguente: dipende dall'oggetto della deliberazione. Alcuni esempi, al solito, saranno utili a chiarire quest'affermazione.
Si pensi all'assemblea convocata per la deliberazione in merito all'approvazione del rendiconto e/o del preventivo. S'è vero, com'è vero, che la legge non specifica che l'amministratore debba presenziare per relazionare, è altrettanto vero che siccome il rendiconto, fino alla sua approvazione è atto proprio dell'amministratore, la sua presenza in riunione per spiegarne il contenuto è più che doverosa.
Altro caso di presenza (questa volta richiesta dalla legge). Opere dei condomini su parti di proprietà o uso esclusivo ai sensi dell'art. 1122 c.c.: i condomini devono darne notizia all'amministratore, il quale è tenuto a riferirne all'assemblea.
Lo stesso dicasi per le opere urgenti straordinarie di cui all'art. 1135, secondo comma, c.c.:l'amministratore può ordinarle ma poi deve darne comunicazione ai condomini nella prima assemblea utile.
E' utile, infine, ricordare che, generalmente, in tutte le assemblee la presenza dell'amministratore è utile, al di là della sua obbligatorietà, perché l'esperienza e la professionalità del mandatario possono essere utili nella gestione della riunione, pur non avendo egli poteri formali e diretti in tal senso.
Eppure, abbiamo visto prima, esistono dei casi in cui la presenza dell'amministratore può essere di troppo; tuttavia per fare le cose in regola siccome se c'è un amministratore è a lui che spetta il compito di convocare l'assemblea, quanto meno la richiesta di convocazione ex art. 66 disp. att. c.c. dev'essere rivolta a lui.
Sarà in questa occasione che i condomini dovranno fare presente per iscritto all'amministratore che la sua presenza non è richiesta. E se l'amministratore si presentasse comunque alla riunione o la convocasse nel suo studio? Chiaramente questi sono mezzi utilizzati per imporre la propria presenza cercando di sfruttare a proprio favore il senso d'imbarazzo che si prova mettendo una persona alla porta anche quando lo si fa nel modo più garbato possibile e pur stando nella ragione.
E' evidente che in queste situazioni è necessario far valere la propria posizione senza perdere la calma; la legge qui non dice nulla in merito, non esistono divieti di partecipazione alla stregua dei succitati obblighi di presenza, quindi sta a chi agisce farlo nel modo più opportuno per raggiungere il proprio obiettivo.


Fonte : condominioweb

Valvole termostatiche. Dopo la Lombardia anche il Piemonte si adegua.

Valvole termostatiche. Dopo la Lombardia anche il Piemonte si adegua.

La normativa nazionale. Con l'approvazione del decreto legislativo n. 102/2014 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 165 del 18 luglio u.s.), è stata finalmente recepita anche in Italia la Direttiva 2012/27/UE sull'efficienza energetica.
Ricordiamo che gli articoli chiave della Direttiva europea sono relativi alla ristrutturazione degli immobili nel settore pubblico, ai regimi obbligatori di efficienza, alla misurazione e alla contabilizzazione dell'energia, alla promozione dell'efficienza per il riscaldamento e il raffreddamento, alla trasformazione, trasmissione e distribuzione dell'energia.
Per quanto riguarda in particolare la contabilizzazione del calore, sulla base delle disposizioni previste dalla normativa, entro il 31 dicembre 2016 tutti gli edifici con il riscaldamento centralizzato dovranno dotarsi di termoregolazione e contabilizzazione. I supercondomini o gli edifici polifunzionali serviti dunque da un impianto di distribuzione centralizzato o da una rete di teleriscaldamento sia per il riscaldamento che per il raffrescamento e per la distribuzione di acqua calda, dovranno obbligatoriamente installare contatori individuali di calore o di fornitura di acqua calda in corrispondenza dello scambiatore di calore collegato alla rete o del punto di fornitura; anche gli stessi utenti finali dovranno dotarsi di contatori individuali per la misurazione dell'effettivo consumo per ciascuna unità immobiliare.
Questi apparecchi devono risultare perfettamente efficienti sia in termini di costi che di potenziali risparmi energetici (l'installazione dovrà risultare tecnicamente possibile, in caso contrario sarà il tecnico abilitato o il progettista dell'impianto, a relazionare in un rapporto tecnico la non fattibilità dell'intervento). È importante sottolineare che questi sistemi tecnologici permettono sia di regolare autonomamente la temperatura in ogni unità immobiliare, sia di suddividere le spese in proporzione a quanto ciascun condomino effettivamente consuma (si possono ottenere risparmi di combustibile tra il 10% e il 30% annui).
Le Regioni. In virtù di quanto previsto dal decreto legislativo, le Regioni sono tenute ad allinearsi e a legiferare in materia. La Lombardia è stata la prima e adesso segue a ruota il Piemonte.
Il termine ultimo per l'adozione delle valvole termostatiche e della contabilizzazione del calore nei condomini è, per il Piemonte, il 1° settembre p.v., ma coloro che non si adegueranno entro i termini previsti, non saranno soggetti a sanzioni almeno fino al 1° gennaio 2017 (termine massimo, così come consentito dall'Unione Europea).
Questo slittamento consentirà l'adeguamento degli impianti di riscaldamento domestico in un arco temporale più ampio ed eventualmente prevedere interventi che ne consentano l'effettiva fattibilità.
Nel caso particolare del Piemonte, inoltre, l'allungamento dei termini per la dotazione di apparecchi di termoregolazione e contabilizzazione del calore, consentirebbe (secondo quanto dichiarato dall'Assessore Regionale all'Ambiente, Alberto Valmaggia) il recupero di risorse per il rifinanziamento del fondo Finpiemonte sull'efficienza energetica e che garantirebbe ai condomini contributi per l'installazione delle valvole termostatiche.
Nonostante l'installazione di questi apparecchi garantisca un notevole risparmio energetico (lì dove l'utente paga sulla base dell'effettivo fabbisogno energetico), comporta tuttavia anche un costo che va dagli 800 ai 1000 euro, che raddoppia in caso di sostituzione della caldaia (nonostante vi sia uno sgravio Irpef del 65%).
Non va dimenticato, inoltre, che a livello nazionale vi sono norme UNI relative ai principi di efficienza energetica e risparmio; in particolare la UNI 10200 che stabilisce “i principi per una corretta ed equa ripartizione dei costi di riscaldamento ed acqua calda sanitaria in edifici dotati di impianti centralizzati” e la UNI 9019 che detta “le caratteristiche di impianto, di installazione e di impiego dei sistemi di contabilizzazione indiretta del calore basati sul principio dei gradi-giorno”.


Fonte : condominioweb

Infissi da riparare o sostituire: chi paga che cosa in caso di locazione?

Infissi da riparare o sostituire: chi paga che cosa in caso di locazione?

Nel corso di un contratto di locazione, l'immobile necessita di una serie di interventi volti a garantirne la conformità all'uso convenuto: chi paga che cosa nel caso di problemi agli infissi dell'appartamento?
Esempio: nel cortile condominiale i bambini giocano a pallone; una pallonata manda in frantumi il vetro ma non si riesce a capire chi è stato (si pensi similmente all'atto vandalico). La spesa per la sostituzione del vetro dev'essere affrontata dal proprietario oppure dal conduttore?
Il conduttore lascia sempre la tapparella aperta cosicché, nel corso degli anni, la parte esterna della finestra, in legno, necessita di un intervento di risistemazione. Chi deve pagare?
La sfilza di esempi può essere lunga quanto variabili sono le circostanze che portano alla necessità di sostituire o riparare gli infissi.
La legge detta un criterio di individuazione del soggetto tenuto ad affrontare la spesa, teoricamente ben preciso, ma che all'atto pratico dimostra tutta la propria eccessiva genericità.
Il riferimento è all'art. 1576 c.c., rubricato Mantenimento della cosa in buono stato locativo, a mente del quale:
Il locatore deve eseguire, durante la locazione, tutte le riparazioni necessarie, eccettuate quelle di piccola manutenzione che sono a carico del conduttore.
Se si tratta di cose mobili, le spese di conservazione e di ordinaria manutenzione sono, salvo patto contrario, a carico del conduttore.
Quali sono le spese di piccola manutenzione? Nei codici civili in commercio, solitamente, alla fine del primo comma dell'articolo appena citato è inserito tra parentesi, il riferimento agli artt. 1609 e 1621 c.c.
La norma che ci riguarda è la prima, ossia l'art. 1609 c.c., disciplinante Piccole riparazioni a carico dell'inquilino, che recita:
Le riparazioni di piccola manutenzione, che a norma dell'art. 1576 devono essere eseguite dall'inquilino a sue spese, sono quelle dipendenti da deterioramenti prodotti dall'uso, e non quelle dipendenti da vetustà o da caso fortuito.
Le suddette riparazioni, in mancanza di patto, sono determinate dagli usi locali.
Deterioramenti prodotti dall'uso; questa la chiave di volta per comprendere chi debba pagare che cosa.
Un serramento che si rompe perché l'inquilino lo ha usato continuamente dev'essere riparato da quest'ultimo. Ed ancora, come ha specificato la Cassazione, “tra le riparazioni a carico dell'inquilino rientrano anche quelle relative alla rottura di elementi “esterni” dell'impianto idrico per la cui sostituzione non occorre intervenire nelle opere murarie. (Cass. 28 novembre 2007 n. 24737).
La spesa conseguente alla rottura del così detto flessibile, insomma, potrebbe essere a carico dell'inquilino. Potrebbe, perché bisogna sempre chiarire se tale sistemazione s'è resa necessaria a causa dell'uso oppure per vetustà; in tal ultimo caso, infatti, la spesa graverebbe sul proprietario. E di tutta evidenza, come si diceva, che non è affatto facile distinguere tra uso e vetustà.
In ogni caso gli usi locali (la loro raccolta è tenuta presso le locali Camere di commercio), in assenza di specificazioni pattizie, possono essere sempre d'ottimo aiuto.


Fonte : condominioweb 

Condominio e unità immobiliare in leasing, chi convocare e a chi chiedere i pagamenti?

Condominio e unità immobiliare in leasing, chi convocare e a chi chiedere i pagamenti?


Nel condominio che amministro una delle unità immobiliari è stata data in leasing ad un'impresa che ne ha fatto la propria sede. A questo punto mi domando: a chi devo inviare gli avvisi di convocazione delle assemblee? A chi devo richiedere i pagamenti? Contro chi potrei e dovrei agire in caso di morosità?
Queste, grosso modo, le domande che un amministratrice nostra lettrice s'è posta e ci ha rivolto; proviamo a dare una riposta chiara ed esaustiva in modo da facilitare il lavoro della professionista.
Il leasing è uno di quei nuovi contratti creati dalla prassi commerciale che non trova specifica disciplina nella legge italiana: ciò vuol dire che al leasing si applicano norme specificamente previste per altri contratti, cui quello in esame può dirsi simile se non proprio analogo
Dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che al leasing, in special modo al leasing immobiliare con effetto traslativo (ossia quel contratto al quale termine è previsto il passaggio di proprietà del bene), si applichi la disciplina della vendita con patto di riservato dominio di cui agli artt. 1523 e ss c.c. (cfr. tra le varie Cass. 27 settembre 2011 n. 19732).
È utile ricordare che ai sensi dell'art. 1523 c.c. nella vendita a rate con riserva della proprietà, il compratore acquista la proprietà della cosa col pagamento dell'ultima rata di prezzo, ma assume i rischi dal momento della consegna.
Dal punto di vista giuridico, quindi, è evidente che fino al trasferimento finale del bene le due parti siano sostanzialmente un locatore ed un conduttore (se il contratto ha durata maggiore ai nove anni dovrà essere redatto per atto pubblico, cfr. art. 1350 c.c.).
Questa osservazione non può non avere delle conseguenze sulle domande poste dall'amministratrice.
Partiamo dall'elemento di più immediata rilevanza pratica: l'inquadramento del leasing nell'anagrafe condominiale (art. 1130 n. 6 c.c.); in ragione del dovere di collaborazione con l'amministratore, le parti interessate devono comunicare al mandatario il fatto che su quell'unità immobiliare sussista un contratto di leasing e quindi che esistono un proprietario ed un utilizzatore.
Solitamente, o meglio secondo la prassi di alcune società di leasing, all'amministratore viene anche comunicato che da allora in avanti tutte le comunicazioni inerenti a quell'unità immobiliare debbano essere inviate presso il domicilio dell'utilizzatore: questa richiesta arrivata dal concedente libera l'amministratore stesso dall'obbligo di comunicazioni presso tale soggetto.
Si badi però: comunicare l'avviso di convocazione ed ogni altra comunicazione presso l'indirizzo dell'utilizzatore non vuol dire comunicarle solamente a lui. Fintanto che l'immobile sia di proprietà del locatore finanziario è questo a dover essere considerato il condomino. Ergo: è sempre bene intestare la comunicazione ad entrambe le parti.
Lo stesso dicasi per le spese condominiali: sebbene per gli accordi tra le parti debba essere il conduttore a doversene fare intero carico, quest'accordo a mera rilevanza interna. Sebbene, quindi, le richieste debbano essere sempre inviate dov'è stato indicato, è consigliabile rivolgerle ad entrambe le parti.
E nel caso di morosità? Contro chi proporre l'azione per decreto ingiuntivo? Siccome il locatore finanziario è il proprietario e l'utilizzato un semplice conduttore, l'azione dovrà essere rivolta contro il proprietario e quindi, per dirla guardando alla realtà quotidiana, contro la società di leasing.


Fonte : condominioweb

Lavori in appartamento ubicato in condominio, è necessario informare i propri vicini della loro effettuazione?

Lavori in appartamento ubicato in condominio, è necessario informare i propri vicini della loro effettuazione?

Prendiamo spunto da un quesito di un nostro lettore per rispondere alla domanda.
La scorsa settimana, grazie ad un mio vicino, mi sono reso conto che le tubature di uno dei bagni della mia abitazioni sono rotte.
Si è posta quindi la necessità di eseguire dei lavori di manutenzione nel mio appartamento così ho colto l'occasione per affidare all'impresa l'incarico di effettuare una serie di piccoli interventi che volevo effettuare già da diverso tempo.
Di questo fatto devo avvisare gli altri condomini?
La risposta non è univoca perché varia di caso in caso anche in relazione alla tipologia d'intervento; vediamo perché.
Innanzitutto è necessario leggere il regolamento di condominio: nello statuto della compagine possono essere inserite norme di comportamento relativamente all'uso delle cose comuni (si pensi all'utilizzazione dell'ascensore per caricare e scaricare il materiale da usare e quello di risulta), nonché agli orari di esecuzione degli interventi (fermo restando sul punto quanto stabilito dal regolamento di polizia locale).
Se il regolamento ha natura contrattuale, poi, esso può contenere norme più stringenti che possono spingersi fino al divieto di uso delle cose comuni in determinate modalità; si faccia riferimento, ad esempio, la carico/scarico di cui sopra.
Bisogna poi ricordare una norma di legge, esattamente l'art. 843, primo e secondo comma, c.c.disciplinante l'accesso al fondo del vicino, che recita:
Il proprietario deve permettere l'accesso e il passaggio nel suo fondo, sempre che ne venga riconosciuta la necessita, al fine di costruire o riparare un muro o altra opera propria del vicino oppure comune.
Se l'accesso cagiona danno, è dovuta un'adeguata indennità.
In buona sostanza se Tizio per ristrutturare la propria abitazione deve entrare a casa di Caio, quest'ultimo, salvo i danni, deve consentire l'accesso e se non lo fa può essere obbligato dal giudice.
Detta più semplicemente: i vicini devono essere avvisati dello svolgimento dei lavori se il regolamento lo impone o comunque se è necessario chiedere il permesso di entrare in casa loro per l'esecuzione dei medesimi.
Con riferimento a quel complesso di regole non scritte che, comunemente, chiamiamo rapporti di buon vicinato, è sempre bene, soprattutto se i lavori saranno prolungati e necessiteranno di uso dell'ascensore per il carico e scarico e simili, avvisare i propri vicini, quanto meno con un cartello informativo sulla bacheca condominiale, ferma restando l'eventuale necessità di pubblicità dei lavori dettata dalla normativa urbanistico-edilizia.
Resta poi un ultimo aspetto da non sottovalutare: a mente dell'art. 1122 c.c., infatti,
Nell'unità immobiliare di sua proprietà ovvero nelle parti normalmente destinate all'uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio.
In ogni caso è data preventiva notizia all'amministratore che ne riferisce all'assemblea.
L'uso del sintagma "in ogni caso" riferito ai lavori su parti di proprietà o uso esclusivo, sembrerebbe lasciar intendere che ogni opera su tali porzioni di edificio debba essere comunicato all'amministratore che, a sua volta, deve riferirne in assemblea.
Davvero si può arrivare a ipotizzare che la tinteggiatura della cucina debba essere portata a conoscenza dell'amministratore che poi la andrà a riferire a tutti i condomini?
Ad avviso di chi scrive un'interpretazione simile è fin troppo estensiva. I lavori che possono interessare cose comuni (es. rifacimento bagno con conseguente collegamento alla colonna di scarico condominiale), invece, devono essere sempre comunicati.


Fonte : condominioweb

Registrazione del contratto preliminare di compravendita

Registrazione del contratto preliminare di compravendita

E' necessario registrare un contratto preliminare di compravendita di un'unità immobiliare?
Prima di rispondere al quesito è utile ricordare che la normativa di riferimento è rappresentata dal d.p.r. n. 131 del 1986 contenente disposizioni concernenti l'imposta di registro.
Il medesimo decreto presidenziale distingue due ipotesi di registrazione:
a) quella in termine fisso;
b) quella in caso d'uso.
Registrazione in termine fisso significa obbligo di presentare il contratto presso l'ufficio dell'agenzia delle entrate territorialmente competente al fine di assolvere al pagamento della succitata imposta (oltre che dell'imposta di bollo variabile a seconda della tipologia e lunghezza dell'atto).
Alcuni atti, invece, necessitano di registrazione in caso d'uso; a mente dell'art. 6 d.p.r. n. 131/86 "si ha caso d'uso quando un atto si deposita, per essere acquisito agli atti, presso le cancellerie giudiziarie nell'esplicazione di attività amministrative o presso le amministrazioni dello Stato o degli enti pubblici territoriali e i rispettivi organi di controllo, salvo che il deposito avvenga ai fini dell'adempimento di un'obbligazione delle suddette amministrazioni, enti o organi ovvero sia obbligatorio per legge o regolamento". L'attività giurisdizionale non è da considerarsi attività amministrativa ai fini dell'applicazione della norma in esame.
Ai sensi articolo 10 Tariffa, Parte prima, allegata al d.p.r. n. 131/1986 i contratti preliminari di ogni specie sono soggetti a registrazione in termine fisso nella misura di ? 200,00.
È bene evidenziare che il d.p.r. n. 131/86 è spesso soggetto ad aggiornamenti per ciò che riguarda la misura dell'imposta; così ad esempio fino al 31 dicembre 2013 l'imposta nella misura fissa era pari ad ? 168,00.
In questo contesto, è utile domandarsi: la sottoscrizione di un contratto preliminarecomporta il pagamento della sola imposta in misura fissa o si devono sborsare anche altre somme di denaro?
La risposta è negativa; in quello che demagogicamente (fino quanto poi non si sa) viene definito il paese delle tasse e dei balzelli d'ogni genere non c'è da meravigliarsi.
Oltre all'imposta in misura fissa, infatti, la parte compratrice (e con essa verso l'agenzia delle entrate sono coobbligate in solido anche l'agenzia immobiliare e la parte venditrice) deve mettere in conto il pagamento delle seguenti somme:
a) se il contratto prevede la corresponsione di una somma a titolo di caparra confirmatoria, è necessario versare sulla stessa un'imposta pari allo 0,50% della somma corrisposta;
b) se il contratto prevede la corresponsione di una somma a titolo di acconto(indipendentemente dal fatto che sia versata al momento della stipula del preliminare o dopo la sua conclusione) il 3% della somma così corrisposta;
c) se sono previste entrambe le tipologie, si applicano entrambe le imposte.
In ogni caso, afferma la nota all'art. 10 Tariffa, Parte prima, allegata al d.p.r. n. 131/1986l'imposta pagata è imputata all'imposta principale dovuta per la registrazione del contratto definitivo.
Come dire: pago prima e poi dopo verso solo il saldo (per la prima casa ad oggi pari al 2% del valore catastale dell'immobile se si acquista la prima abitazione).
Al link una guida operativa dell'agenzia delle entrare che si addentra con dovizia di particolari sull'argomento,
All'imposta di registro deve essere aggiunta l'imposta di bollo nella misura indicata dal d.p.r. n. 642/72; ? 16,00 di bolli ogni cento linee considerando anche i vari allegati.


Fonte : condominioweb

Costruzione o ristrutturazione con materiale del committente, l'appaltatore è responsabile del materiale scadente?

Costruzione o ristrutturazione con materiale del committente, l'appaltatore è responsabile del materiale scadente?

In tema di contratto d'appalto, il fatto che l'opera sia eseguita con materiale fornito dal committente (si pensi alla costruzione o alla ristrutturazione di un immobile) non sempre libera l'appaltatore dalla responsabilità per i difetti che dovessero successivamente manifestarsi a causa della cattiva qualità di quel materiale.
Il concetto, non nuovo nel repertorio della giurisprudenza della Corte di Cassazione, è stato ribadito dagli ermellini con la sentenza n. 14220 resa il 23 giugno 2014.
L'arresto è interessante in quanto riprende un concetto che, comunemente, può non apparire così scontato. Chi costruisce, ristrutturao comunque prende in carico l'esecuzione di un'opera non è responsabile solamente delle operazioni necessarie a compierla ma anche di tutto ciò che utilizza per porla in essere.
Appalto
Ai sensi dell'art. 1655 c.c.
L'appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro.
Si tratta di un contratto a prestazione corrispettive (il committente paga l'appaltatore che per ciò deve eseguire quanto affidatogli) cui è sottesa un'obbligazione di risultato: in buona sostanza al termine dell'opera l'appaltatore deve consegnare quanto concordato. Il rischio dell'intera gestione dell'appalto è a carico di chi s'assume l'obbligo di realizzazione (l'appaltatore).
Solitamente la materia è fornita dall'appaltatore (art. 1658 c.c.). Detta con un esempio: Tizio commissiona all'impresa Alfa la realizzazione di un immobile su un terreno di sua proprietà. Se non diversamente pattuito, tutto quanto necessario a tale scopo dev'essere fornito dall'appaltatore.
Può accadere, però, che il committente sia in possesso del materiale (o di parte di esso) utile a realizzare quanto concordato.
In questi casi egli può fornire la materia (evidentemente ottenendo una riduzione del prezzo) e l'appaltatore può utilizzarla. In questo contesto, recita l'art. 1663 c.c., “l'appaltatore è tenuto a dare pronto avviso al committente dei difetti della materia da questo fornita, se si scoprono nel corso dell'opera e possono comprometterne la regolare esecuzione”.
La giurisprudenza, è qui torniamo alla sentenza citata in principio, ha dato una lettura più ampia di questa norma. La verifica della bontà dei materiali (anche solamente rispetto al concreto utilizzo) è obbligo dell'appaltatore sempre comunque, sicché esso dev'essere considerato responsabile dei danni derivanti dall'opera ultimata e causati dai difetti della materia, se non ha agito secondo quella diligenza che è propria degli operatori del settore.
Secondo la Cassazione, infatti, “l'appaltatore risponde dei difetti dell'opera quando accetti senza riserve i materiali fornitigli dal committente, sebbene questi presentino vizi o difformità riconoscibili da un tecnico dell'arte o non siano adatti all'opera da eseguire ed i difetti denunziati dal committente derivino da quei vizi o da quella inidoneità (Cass. nn. 470/10, 10580/94, 1569/87 e 1771/65). Egli, inoltre, è tenuto ad avvisare il committente che i materiali che questi gli abbia fornito, essendo di cattiva qualità o, comunque, inidonei rispetto all'opera commessagli, non siano tali da assicurare la buona riuscita di questa, con la conseguenza che, in difetto di tale avviso, non può eludere la responsabilità per i vizi dell'opera adducendo che i materiali erano difettosi (cfr. n. 521/70)” (Cass. 23 giugno 2014 n. 14220).
Tali principi chiosa la Corte aggiungendo un elemento di novità “sono agevolmente estensibili alla diversa ipotesi in cui i materiali forniti dal committente, sebbene né difettosi né inadatti, richiedano tuttavia per la loro corretta utilizzazione l'osservanza di una particolare procedura. Nota o non nota, questa deve comunque essere seguita dall'appaltatore, il quale ha l'obbligo di valutare previamente il materiale consegnatogli e, ove non l'abbia mai impiegato prima, di informarsi sulle sue caratteristiche intrinseche e sulle tecniche di applicazione che esso richieda, tecniche il cui eventuale apprendimento è a carico dell'appaltatore stesso ed è esigibile al pari del possesso delle ordinarie nozioni dell'arte” (Cass. 23 giugno 2014 n. 14220).
 Cass. 23 giugno 2014 n. 14220


Fonte : condominioweb 

sabato 9 agosto 2014

IL CONTRATTO RESIDENZIALE SULL'IMMOBILE USO UFFICIO

IL CONTRATTO RESIDENZIALE SULL'IMMOBILE USO UFFICIO

Vorrei sapere se è possibile affittare un immobilie uso ufficio (A/10) con contratto ad uso residenziale.
Se abbiamo ben compreso il quesito, la risposta è negativa. Ed infatti, la destinazione catastale deve coincidere con la destinazione in concreto del bene locato, sicchè il locatore deve chiedere la voltura. In mancanza – ad evitare contenziosi con il conduttore – è opportuno inserire nel contratto di locazione una pattuizione, da cui risulti che il conduttore è consapevole della circostanza che l’immobile ha destinazione catastale A/10 (cioè “uffici e studi privati”), ancorchè venga locato ad uso abitativo. Sul tema specifico, la giurisprudenza ha avuto modo di puntualizzare che «in tema di rapporto locatizio, non sussistono i requisiti per la risoluzione del contratto ai sensi dell’articolo 1578 del Codice civile quando il conduttore, essendo a conoscenza della destinazione d’uso dell’immobile locato (nella specie, commerciale e non artigianale) al momento in cui al contratto venne data attuazione (nella specie, come desunto dalla clausola contrattuale relativa al divieto di mutamento della destinazione originaria) e, quindi, anche della inidoneità dell’immobile a realizzare il proprio interesse, abbia accettato il rischio economico dell’impossibilità di utilizzazione dell’immobile stesso come rientrante nella normalità dell’esecuzione della prestazione. In tal caso, il mancato rilascio di concessioni, autorizzazioni o licenze amministrative relative alla destinazione d’uso dell’immobile locato non è di ostacolo alla valida costituzione del rapporto di locazione, sempre che vi sia stata, da parte del conduttore, concreta utilizzazione del bene secondo la destinazione d’uso convenuta» (Cassazione 21 gennaio 2011, n. 1398).Si tenga tra l’altro presente che per l’articolo 19, comma 15, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, «la richiesta di registrazione di contratti, scritti o verbali, di locazione o affitto di beni immobili esistenti sul territorio dello Stato e relative cessioni, risoluzioni e proroghe anche tacite, deve contenere anche l’indicazione dei dati catastali degli immobili. La mancata o errata indicazione dei dati catastali è considerata fatto rilevante ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro ed è punita con la sanzione prevista dall’articolo 69 del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131». Si tenga anche presente che il nuovo modello RLI per la registrazione dei contratti e per l’esercizio dell’opzione cedolare secca prevede un apposito quadro per la dichiarazione dei dati catastali. In particolare, nel modello RLI - approvato con provvedimento dell'agenzia delle Entrate 10 gennaio 2014, protocollo n. 2970 – è prevista al quadro C, l’indicazione di tutti «…i dati degli immobili principali e delle relative pertinenze…».
FONTE : CASA24PLUS

L'ALLACCIO AL CONTATORE SPETTA AL PROPRIETARIO

L'ALLACCIO AL CONTATORE SPETTA AL PROPRIETARIO

Nel caso di allacciamento dal contatore elettrico all'abitazione, le spese sono a carico dell'inquilino o del proprietario dell'immobile?
In assenza di una diversa (ed opportuna) pattuizione contrattuale, le spese per il collegamento dell’impianto (elettrico, idrico o del gas) dal contatore all’interno dell’appartamento locato sono a carico del locatore, a norma dell’articolo 1575, numeri 1 e 2, del Codice civile per il quale, il locatore deve consegnare al conduttore la cosa locata in buono stato di manutenzione e mantenerla nello stato da servire all'uso convenuto.Si tenga tra l’altro presente che per il successivo articolo 1576 del Codice civile, «il locatore deve eseguire, durante la locazione, tutte le riparazioni necessarie, eccettuate quelle di piccola manutenzione che sono a carico del conduttore». In tema, la giurisprudenza ha avuto modo di puntualizzare che «la materiale installazione dell’impianto del gas, unitamente a quello elettrico e idrico, con i relativi contatori, in quanto integranti interventi destinati a rimanere acquisiti all’immobile, competono certamente al locatore, sul quale, conseguentemente, gravano le relative spese di installazione» (Tribunale di Vicenza, 30 settembre 2011, numero 1505).
FONTE : CASA24PLUS

INTERESSI MUTUO SCONTABILI ANCHE CON L'USO PROMISCUO

INTERESSI MUTUO SCONTABILI ANCHE CON L'USO PROMISCUO

Un agente di commercio utilizza l'unica sua abitazione anche come ufficio (uso promiscuo): in tal caso, avendo acceso un mutuo per l'acquisto dell'abitazione principale, come ci si regola con la detrazione degli interessi sul mutuo?
Non si riscontrano limitazioni quantitative alla detrazione degli interessi passivi, rapportate all’utilizzo più o meno esclusivo come abitazione principale, che il contribuente effettua in relazione all’immobile di sua proprietà. Pertanto, il beneficio fiscale è da ritenere conseguibile nell’intera misura ordinariamente prevista dalla lettera b, comma 1, dell'articolo 15 del Tuir, a nulla rilevando che l’abitazione principale venga utilizzata nel contempo anche come ufficio.
FONTE : CASA24PLUS

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